CATANIA. Ha invocato la legittima difesa il 71enne Giuseppe Caruso, definendo una disgrazia quanto accaduto la notte tra il 25 ed il 26 aprile nel proprio terreno di Puntalazzo, frazione pedemontana di Mascali. L’uomo, imputato per l’omicidio volontario del 26enne Roberto Grasso, ucciso con quattro colpi di pistola, si è sottoposto ad esame nel corso dell’ultima udienza davanti alla Corte d’Assise di Catania, presieduta da Rosario Cuteri.
Su richiesta del pubblico ministero Alessandro La Rosa il 71enne ha ricostruito le fasi precedenti e successive alla sparatoria costata la vita al giovane mascalese. A spingerlo a presidiare armato il fondo agricolo, ha raccontato in aula, i numerosi furti subiti, l’ultimo dei quali sarebbe avvenuto proprio la notte precedente all’omicidio. E’ intorno all’una e mezza che il pensionato avrebbe avvertito l’arrivo all’ingresso di uno scooter, poi allontanatosi, e subito dopo dei movimenti all’interno del terreno. Nemmeno in quel momento il 71enne, così ha raccontato, avrebbe estratto la pistola che custodiva in tasca. Lo avrebbe fatto solo dopo essere stato aggredito a colpi di torcia dal giovane. Il primo colpo sarebbe stato sparato in aria. Non così secondo l’accusa che lo ha escluso, sulla base delle indagini condotte dai carabinieri della Compagnia di Giarre.
Dalla successiva colluttazione con il 26enne, che avrebbe tentato di disarmare Giuseppe Caruso, sempre secondo il racconto di quest’ultimo, sarebbero partiti i quattro proiettili fatali, uno dei quali ha raggiunto Roberto Grasso alla schiena. Su questo punto ha insistito il pm chiedendo all’imputato quali movimenti avessero potuto consentire, visto che i due si trovavano l’uno di fronte all’altro, come descritto dallo stesso Caruso, lo sparo alle spalle. Una domanda a cui l’imputato non ha dato risposta. Il 71enne ha riferito subito dopo che il giovane avrebbe continuato a tenere ben salda la pistola, poi inceppatasi, anche dopo essere stato colpito per ben quattro volte. Solo alla fine si sarebbe accasciato. A quel punto l’imputato sarebbe andato nei pressi della Chiesa, unico punto in cui c’era campo, per telefonare ai carabinieri. Una ricostruzione inverosimile secondo l’accusa e i legali di parte civile Lucia Spicuzza, Claudio Grassi e Giuseppe Di Mauro. Questi ultimi hanno chiesto ripetutamente all’imputato di ricostruire la cronologia degli spari e le posizioni assunte durante la colluttazione. Ma Caruso ha detto di ricordare solo che la vittima teneva con una mano la canna della pistola e con l’altra il proprio polso. Quei movimenti avrebbero causato la pressione sul grilletto e le conseguenti esplosioni dei colpi di arma da fuoco. Il 15 settembre previste le discussioni di accusa, parti civili e difesa. L’avvocato Giuseppe Lipera chiederà l’assoluzione dell’imputato per legittima difesa. Poi l’attesa sentenza.
LA VICENDA. Sono le 6 del mattino del 26 aprile del 2013 quando all’ospedale Cannizzaro di Catania muore per uno shock emorragico Roberto Grasso, 26enne di Mascali, raggiunto poche ore prima da quattro colpi di pistola calibro 7,65. A sparare il 69enne Giuseppe Caruso, pensionato e proprietario del fondo agricolo in cui si consuma la tragedia. E’ lo stesso Caruso a chiamare il 112. L’uomo racconta di essersi difeso dall’aggressione subita dal giovane, introdottosi all’interno del proprio appezzamento per rubare. Ma per l’accusa la reazione dell’uomo sarebbe stata sproporzionata. Il pensionato mascalese viene arrestato con l’accusa di omicidio e porto abusivo di arma da fuoco.