"Preso per i piedi e strangolato" | Così si ammazza un uomo - Live Sicilia

“Preso per i piedi e strangolato” | Così si ammazza un uomo

La macchina dove fu ritrovato il cadavere di Giambanco

I verbali choc del neo pentito Nino Pipitone, del clan di Carini, in provincia di Palermo.

PALERMO – Storie di orrore e morte. Di uomini strangolati o uccisi con un colpo di pistola alla tempia e sepolti chissà dove. Ne aveva già parlato Gaspare Pulizzi, ma sono state le dichiarazioni del nuovo collaboratore di giustizia, Nino Pipitone, a svelare i macabri retroscena di tre omicidi e a inguaiare sei persone: Ferdinando Gallina, Giovan Battista Pipitone, Salvatore Cataldo, Antonino Di Maggio, Vincenzo e Antonino Pipitone. Le vittime sono Francesco Giambanco, Antonino Failla e Giuseppe Mazzamuto.

Ecco come Pipitone racconta l’omicidio di Giambanco, un ragazzo che nel 2000 pagò con la vita alcuni furti e incendi messi a segno senza l’autorizzazione della famiglia mafiosa di Carini, alleata con i Lo Piccolo, boss palermitani del rione San Lorenzo.

“L’ordine di uccidere questo ragazzo proveniva dai miei zii Giovan Battista e Vincenzo, nonché da Antonino Di Maggio – mette a verbale il pentito lo scorso ottobre – so che questo ragazzo aveva dato fastidio muovendosi per furto o altro senza autorizzazione… la decisione mi fu comunicata a fondo Giglio, nella campagna di mio zio Giovan Battista, oltre a me c’erano Giovanni Cataldo (oggi deceduto, ndr), Gaspare Pulizzi, Ferdinando Gallina e Antonino Di Maggio. I miei zii dissero – aggiunge – che i Lo Piccolo, Sandro e Salvatore, erano d’accordo…. qualche giorno dopo Cataldo chiamò Giambanco e gli diede un appuntamento al suo deposito dietro il cimitero di Carini”.

Ed è qui che fu consumato il delitto: “… mentre Cataldo parlava con Giambanco, che era arrivato con una jeep, io, Pulizzi e Gallina uscimmo allo scoperto, prendemmo la vittima per le mani e i piedi, Cataldo lo colpì alla testa con un attrezzo da lavoro… a Giambanco scivolò una 357 magnum… la prese per ricordo Gallina… la jeep con il cadavere fu guidata da Pulizzi, io ero con Gallina in una macchina dietro. Cataldo rimase nel deposito per ripulirlo dal sangue, arrivati nei pressi di un torrente incendiammo la macchina”. Quel che restava del cadavere di Giambanco fu ritrovato qualche giorno dopo dalla polizia.

Di lupara bianca, invece, si parla nel caso di Failla e Mazzamuto. Pipitone partecipò al delitto, ma non sa dove si trovano i corpi che i carabinieri del Nucleo investigativo, guidati dal comandante provinciale Antonio Di Stasio, stanno ancora cercando nelle campagne di Carini. “In compagnia di mio zio Vincenzo e di mio zio Giovanni ci recammo da Totò Cataldo, che aveva fissato un appuntamento a casa sua, che si trova a Villagrazia in via dei Limoni – racconta il collaboratore di giustizia -. Trovai Cataldo, Antonino Di Maggio, Angelo Conigliaro nonché le due vittime. Vi era anche Gaspare Pulizzi, in mia presenza Conigliaro prese Failla, colpendolo con un’ascia e stordendolo, per poi strozzarlo. Di Maggio che era armato prese Mazzamuto che fu colpito… la corda al collo di Failla fu messa da Angelo Conigliaro e dai miei zii Giovan Battista e Vincenzo, la fase dello strangolamento è durata alcuni secondi”. Conigliaro è ormai deceduto.

Per Pipitone fu il battesimo dl sangue: “È stato il primo omicidio al quale ho assistito, fui coinvolto nelle attività di occultamento dei cadaveri che furono messi in alcuni sacchi e lasciati nel bagagliaio della macchina di Mazzamuto che fu schiacciata con mezzi meccanici da Pecoraro e Cataldo e occultata in un terreno che però non so indicare. Durante lo strangolamento, mio zio Vincenzo urlava a Failla ‘sei uno sbirro’… Failla e Mazzamuto erano responsabili dell’incendio di un supermercato di titolarità di Amato, ma non dissero espressamente che questa era la causa dell’omicidio”.


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