MESSINA – C’è un vorticoso giro di assegni di grosse entità dietro l’operazione ‘Gran Bazar’, scattata stamani, ad opera della squadra mobile di Messina, con 8 arresti. A richiederli, al gip Francesco Genovese, la Dda e la Procura ordinaria, sostituti procuratori Vito Di Giorgio e Anna Maria Arena. Un giro di assegni che, nel 2009, non ha convinto il direttore di un istituto di credito cittadino. Da qui la denuncia e l’avvio delle indagini, che hanno portato alla luce un giro di usura ed estorsione.
Sono 12 le persone indagate, per otto delle quali il gip ha siglato le misure cautelari in carcere. Si tratta di Giuseppe Mazzù, 54 anni, agente penitenziario in pensione; di Giuseppe Ilacqua, 59 anni, oggi magazziniere dell’Acr Messina, la squadra di calcio cittadina, ma titolare di un distributore di benzina all’epoca delle indagini; di Nicola Tavilla, 47 anni; di Domenico Trentin, 33 anni, già detenuto; di Tindaro Patti, 38 anni; di Giuseppe Camarda, 40 anni; e di Carmelo Vito Foti, 45 anni, già detenuto. L’accusa, a vario titolo, è di usura ed estorsione, reati aggravati dall’utilizzo del metodo mafioso.
A dare il via alla vicenda sono state alcune operazioni finanziarie compiute da Ilacqua. L’uomo emetteva assegni di un certa entità a favore di un unico destinatario, un imprenditore messinese. Assegni che poi copriva in varie tappe, attraverso contanti. Assegni che, in un mese, raggiungevano anche importi di 400/500mila euro. Una pratica che “passava” facilmente tra le mani dei vari impiegati di banca, tranne che per il direttore. Il funzionario ostacolò l’emissione di alcuni assegni sospetti e da qui nacque un contenzioso con Ilacqua. Di più, per il bancario fu l’inizio di una vera persecuzione. Minacce telefoniche e, infine, anche l’incendio della sua vettura. Episodi che nella emissione delle odierne misure cautelari non vengono, però, contestati ad alcuno degli indagati. Ma il funzionario, stabilirono le indagini, aveva avuto buon fiuto. Fu scoperto che dietro quegli assegni si nascondeva un giro di usura.
Commercialisti, commercianti, ristoratori, tutti in difficoltà economiche – secondo gli inquirenti – si rivolgevano a Mazzù, il cui ruolo era quello del tramite. Metteva in contatto imprenditori danarosi con chi aveva necessità di un prestito e dava il via al giro di usura. Inoltre, Mazzù, in forza del suo ruolo di agente penitenziario, aveva contatti con esponenti del mondo criminale, di Messina e fascia tirrenica della provincia.
Interessi con una media del 20% venivano percepiti dal creditore. Chi non pagava veniva minacciato. A farlo, in particolare, personaggi di spessore criminale come Domenico Trentin , ritenuto affiliato al clan Ventura-Vadalà di Camaro; Nicola Tavilla, con un passato di accuse per omicidio, usura ed estorsione. Infine, l’esponente della mafia barcellonese, Carmelo Vito Foti. L’operazione è stata chiamata Gran Bazar, dall’omonima catena di negozi di Messina. Uno dei soci dell’azienda, Benito Costanzo, è tra i 12 indagati.