PALERMO – Duro colpo alla famiglia mafiosa dei “Fardazza” di Partinico. La seconda sezione della corte d’assise di Palermo, presieduta da Biagio Insacco, dopo oltre sei ore di camera di consiglio, ha inflitto pene per oltre 30 anni di carcere a esponenti. Undici gli imputati tutti accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento e favoreggiamento. Il procedimento scaturisce dall’operazione denominata “The end”, scattata nel novembre 2010 tra i comuni di Partinico, Carini e Borgetto, che ha portato in manette 23 fra boss e gregari della cosca mafiosa.
Le pene piu’ alte sono state inflitte a Leonardo e Giovanni e Vitale, condannati rispettivamente a 11 anni e 4 mesi e 6 mesi di reclusione. Condannato a 9 anni e 4 mesi Roberto Pitarrresi, 8 anni per Daniele Salvaggio, 6 anni e 2 mesi per Ambrogio Corrao, 4 anni e 4 mesi per Pietro Orlando. Assolti invece, Francesco e Giovanbattista Tagliavia, Francesco Alfano ed Elviro Paradiso.
Al centro del processo un vasto giro di estorsioni perpetrate anche con l’imposizione delle forniture nell’edilizia a prezzo maggiorato. In base alla ricostruzione della Procura, gli imputati avrebbero partecipato a summit mafiosi in presenza dell’allora boss latitante Domenico Raccuglia. Inoltre, avrebbero gestito gli affari illeciti non solo a Partinico ma anche a Borgetto e Carini, imponendo il pizzo e diverse forniture di calcestruzzo ad imprenditori della provincia di Palermo, danneggiando e incendiando le auto di quelli che avrebbero tentato di opporsi.
Secondo l’accusa la famiglia dei Vitale si sarebbe inventata un metodo nuovo per imporre il pizzo: avrebbe infatti costretto le aziende a comprare il calcestruzzo da una sola ditta, la Edil Village gestita da Alessandro Arcabascio e Alfonso Bommarito.
A puntare il dito contro Bommarito, condannato oggi pomeriggio a 8 anni, due imprenditori, Giuseppe e Giovanni Amato, padre e figlio, che hanno denunciato le intimidazioni subite: l’incendio di due autovetture e del portone d’ingresso della loro abitazione. Fuoco che sarebbe servito a convincerli a pagare il pizzo.Giovanni Amato è figlio di Giuseppe Amato, colui che dopo aver scontato due condanne per mafia, è passato da uomo di Cosa Nostra a denunciante, avviando un processo di riscatto morale e sociale assieme ai figli che vengono assistiti dall’associazione antiracket Liberjato. Tra le parti civili del processo ci sono anche i Comuni di Partinico, Carini e Balestrate insieme alle associazioni anti racket di Addio Pizzo e il centro studi Pio La Torre. Quest’ultime verranno risarcite della cifra di 8 mila euro.