Ho visto ieri un turista fotografare l’immondizia di Palermo. L’ho visto nel centro della città, tirare fuori dal borsello la sua Reflex e puntare il cumulo di rifiuti che quasi nascondevano i cassonetti ricolmi. L’ho visto rinfoderare la sua macchina e lasciare quell’angolo di strada con una smorfia che diceva, qualunque fosse la sua lingua, “che schifo”.
Che schifo. Accadeva in Piazza Ignazio Florio e in via Villaermosa, accade in tante altre zone, nel turbinìo dei sacchetti che scompaiono e riappaiono nel bel mezzo della Capitale della Cultura. E diciamolo subito, a scanso di equivoci, il riferimento al riconoscimento per la città non c’entra, o c’entra fino a un certo punto. Si proverà a spiegare in che senso.
Premessa per premessa, insomma, questa città ha compiuto dei passi in avanti. Nessuno ha le bende agli occhi, né intende “prendere partito” per chissà quale motivo. È una città più viva, con alcune zone del centro restituite ai cittadini grazie ad azzeccate pedonalizzazioni, con un fermento o quantomeno l’impressione di un fermento che male non fa. Insomma, non è ancora certamente sicura (basta girare un po’ la sera o raccogliere qua e là le storie di ordinaria criminalità), ma eccitante forse sì, forse un po’ più di prima.
Detto ciò, la città oggi è in condizioni vergognose. E per carità, c’è il guasto all’impianto di Bellolampo, oggi, a fare da foglia di fico a quelli che sono ritardi e inefficienze ormai croniche. Perché un motivo, gira e rigira, c’è sempre. Ma l’emergenza della munnizza, con i cassonetti a incendiare le notti palermitane, resta un appuntamento fisso. Come uno di quegli spettacoli che si terrà, prima o poi, in una data e un luogo comunicato solo all’ultimo momento.
A questo punto, però, per come stanno le cose, le giustificazioni non bastano più. Suonano come un tentativo goffo di sottrarsi alle proprie responsabilità. E ci riferiamo, ovviamente, a chi ha l’onore di amministrare il capoluogo della Sicilia. Non regge più, nemmeno – un consiglio a Orlando: cambi disco – il riferimento storico-antropologico alla nostra radice mediorientale, come emerso da una imbarazzata (e imbarazzante) risposta, alcuni giorni fa, agli inviati di “Report”. Insomma, anche lì bisogna decidersi. Il sindaco si decida a spiegarci la natura di questa città. Che – nei suoi racconti – somiglia a Oslo quando si parla di car sharing, a Vienna quando si parla di Teatri e a Tunisi se si parla di munnizza. Detta così, pare solo un caso di melting pot a convenienza.
I dati sono più duri, però, della aleatorietà di questa retorica. Se il problema è storico, antropologico e genetico, ci si aspetterebbe che certe azioni, certe tendenze come l’inciviltà diffusa, la refrattarietà a certi usi come quelli della raccolta differenziata, fossero distribuiti per il territorio siciliano in maniera più o meno uniforme. E invece in Sicilia, tra ritardi colossali e invincibili inefficienze, ecco anche città che brillano, pulite, ordinate. Nelle quali – basta prendere i più recenti dati sulla differenziata, come quelli presentati dal governo regionale in una recentissima delibera – la raccolta “porta a porta” è attiva e funziona, nelle quali, insomma, i passi avanti si sono compiuti davvero. Non accade invece qui, in questo angolo sempre più puzzolente di Sicilia compreso tra Villabate e Carini. Manco fosse, questa, la città asserragliata di Camus, chiusa a quattro mandate per non far propagare una imponderabile nuova peste.
E se non bastano quei numeri, basterebbe ricordare che la Procura della Corte dei conti ha già avviato una inchiesta contestando proprio a Leoluca Orlando (e in quota parte al suo predecessore Diego Cammarata) così come all’ex governatore Rosario Crocetta (e in parte a Raffaele Lombardo che l’ha preceduto) una bella porzione della responsabilità di questo sfacelo. E su Orlando, in particolare, ecco che le accuse sul passato si traducono nell’attualità. A lui, entrato nel settimo anno di governo cittadino (con quella lunga eredità del “sindaco che lo sa fare”) non si può giustificare la mancata capacità di programmare, la scarsa crescita della raccolta, lo stato boccheggiante delle società coinvolte nel sistema, l’utilizzo di Bellolampo alla maniera immortalata una settimana fa dalle telecamere di Rai Tre. Lì dove arriva di tutto, senza che nessuno se ne accorga.
Le differenziate che non partono e il costo per il conferimento in discarica, tradotto in quella richiesta di pena per danno erariale avanzata della Corte dei conti che non arricchirà i siciliani, richiama – quantomeno – i nostri amministratori (compresi quelli della Regione, amanti dell’emergenza che tutto può e tutto consente), e Orlando per primo, alle loro responsabilità.
Questa è la situazione oggi. E basta essere, anche da nemici della contentezza, amici della verità. Ed è qui che la Capitale della Cultura entra nel discorso. Senza alcuna voglia di minimizzare l’importanza di questo riconoscimento. Anzi, al contrario. Ci aspetteremmo oggi, per primi, da chi – giustamente, legittimamente, in qualche in maniera persino sacrosanta – esulta e racconta entusiasta una Palermo che da qualche parte si risveglia, un pubblico urlo di rabbia.
Che il discorso sulla Cultura sia una cosa, e quello sulla munizza un’altra cosa è vero. Ma fino a un certo punto. Perché l’incontro tra l’una e l’altra, tra la Cultura e la munnizza, è tutto nell’immagine di quel turista che scatta una foto ai cumuli di rifiuti in pieno centro. Turisti arrivati in massa, negli ultimi tempi – questo lo sanno anche i bambini – anche grazie a uno scenario internazionale che rende assai insicure le mete che una volta erano “concorrenti” della Sicilia. E così anche dagli operatori del Turismo, insieme ai fautori del bello, dalle categorie produttive, dai commercianti, dagli albergatori, ci attenderemmo una protesta senza colore politico, senza ideologie, senza preconcetti. Perché oggi Palermo ha una grande occasione. Che rischia di rivelarsi un fuoco fatuo. Una mirabolante, incoraggiante, ottimistica fiammata di bellezza in una città solo apparentemente irredimibile.
A pensarci bene, è tutto lì. In quel turista che ha affidato alle proprie labbra il disprezzo. E che magari, domani, tornerà nel suo paese raccontando di una città bella e viva ed eccitante, ma sporca da fare schifo. Raccontando, cioè, per farla breve, la storia di una occasione perduta.