CATANIA – È trascorso oltre un anno da quella tragica notte tra gli agrumeti di Lentini in cui sono stati uccisi a fuciliate Massimo Casella e il giovane Agatino Saraniti. La Procura di Siracusa ha emesso l’avviso di conclusione indagini nei confronti di Giuseppe Sallemi e Luciano Giammallaro, i due guardiani accusati di aver ammazzato i due catanesi che sarebbero andati in quel latifondo per rubare arance.
Un film dell’orrore che è stato raccontato ai magistrati e ai poliziotti della Squadra Mobile di Siracusa da Gaetano Signorelli, vivo solo per miracolo. È lui infatti il testimone chiave dell’inchiesta. Quando si è risvegliato, infatti, è stato sentito dagli investigatori che hanno potuto chiudere il cerchio e arrestare Giammellaro. Sallemi, infatti, è stato ammanettato poche ore l’omicidio. Anche se l’indagato ha sempre parlato di legittima difesa. Di aver sparato solo per difendersi dopo un’aggressione. Una ricostruzione però che non collima né con il racconto di Signorelli né con le risultanze dell’autopsia sui due cadaveri e della perizia balistica.
In questi lunghi dodici mesi, le indagini sono andate avanti. Inoltre si è svolto un incidente probatorio per poter ‘cristallizzare’ alcuni punti fondanti dell’inchiesta. Partendo proprio dalla testimonianza di Signorelli. Poi è stata la volta dei consulenti, sia medico legali che tecnico-balistici.
Un puzzle che ha preso forma anche grazie alle intercettazioni avviate dalla Squadra Mobile aretusea, che hanno portato a evidenziare il coinvolgimento dell’anziano Luciano Giammallaro. Dalle carte dell’inchiesta emerge anche una terza figura, precisamente il figlio dell’anziano guardiano che sarebbe stato presente sulla scena del crimine. Ma l’avviso di conclusione indagini è solo per Sallemi, difeso dall’avvocato Ornella Valenti, e Giammellaro, assistito dall’avvocato Pino Ragazzo.
Un’inchiesta che fin dall’inizio ha presentato alcuni punti bui. Come il ritrovamento dei due cadaveri. Sono stati i familiari, dopo ore di ricerche, a rinvenire i corpi delle due vittime: Massimo Casella era dietro un casolare diroccato con le formiche sul volto, mentre il giovane Agatino Saraniti, di appena 19 anni, era quasi nudo in un canalone a qualche centinaia di metri di distanza.
Secondo i parenti c’è qualcosa che mancherebbe nel mosaico. Qualche tassello mancante. Quanto accaduto tra quelle trazzere la notte del 10 febbraio 2020 somiglia più a un agguato ben studiato che a un omicidio improvvisato. Ma ci sarà un processo da cui scaturirà una sentenza. E quindi si arriverà ad una verità. Anche se solo processuale.