PALERMO – Si comportava da “padre padrone” ed è stato condannato in appello a due anni e mezzo di carcere. La sentenza conferma il verdetto di primo grado.
È la storia di un uomo che picchiava la compagna, costringeva la figlia a vivere reclusa in casa e di una nonna che ha tentato di difenderla. Anni di silenzio e soprusi. Poi, la storia è venuta a galla grazie alla sensibilità dei professori che hanno letto il tema in cui la ragazzina raccontava il suo malessere. L’uomo, originario di Partinico, è stato prima allontanato dalla famiglia, condannato in primo grado e ora in appello.
L’inchiesta era nata dalla segnalazione di un dirigente scolastico e della psicopedagogista della scuola che avvertirono i poliziotti del commissariato di Partinico e la Procura minorile. I magistrati hanno contattato la nonna della ragazzina, l’unica che si è presa cura della minorenne, che ha provato a darle conforto.
Al telefono l’anziana donna scoppiò in lacrime. Non voleva parlare,per paura del genero violento. Poi, capì che poteva fidarsi e raccontò dell’uomo e della sua gelosia patologica. La compagna e la nipote non potevano uscire di casa. Vietato possedere un telefono cellulare e un profilo Facebook. “Una volta per la ferocia di un suo pugno la mamma ha perso un dente – disse poi la ragazzina -. Insulti, parolacce e botte, sempre botte: sangue dal naso e dalla testa, colpita con una caffettiera. E la mamma? Piange, ma resta lì, a casa, perché è stregata”. Il suo racconto è stato ritenuto credibile dai consulenti.