Palazzo Abatellis è “la migliore ambientazione di museo che mi sia capitato di incontrare in tutta la vita”, affermava l’architetto Walter Gropius, fondatore del Bauhaus e intellettuale tra i più influenti del Novecento, in un’intervista al Giornale di Sicilia del 1967. In effetti, l’allestimento museale ideato dal celebre architetto veneziano Carlo Scarpa per la Galleria Nazionale della Sicilia, inaugurata nel 1953, continua ad essere, ancora oggi, un capolavoro della museografia del XX secolo in Italia, un felice episodio di committenza pubblica d’avanguardia che affascina tuttora studiosi e appassionati d’arte.
Oggi il nome di Carlo Scarpa è legato a palazzo Abatellis più di quanto lo sia quello dell’architetto che lo ha progettato, Matteo Carnalivari da Noto. Costruito alla fine del Quattrocento nell’antico quartiere della Kalsa su commissione di Francesco Abatellis, maestro portulano del Regno sotto Ferdinando il Cattolico, il palazzo è uno degli edifici più significativi dell’architettura gotico-mediterranea nella Sicilia occidentale. La severa facciata principale, caratterizzata da due torri merlate e da un portale ad arco ribassato, si affaccia sulla via Alloro – la “ruga magistra” per la nobiltà dell’epoca – è alleggerita dalle trifore con colonnine sottili, forse importate dalla Catalogna, come per altri edifici coevi in Sicilia. Francesco Abatellis non ebbe eredi, né dalla prima, né dalla seconda moglie e trasferì la proprietà del palazzo alle monache dell’adiacente convento di Santa Maria della Pietà. Il palazzo subì numerose trasformazioni nel tempo e fu gravemente danneggiato dai bombardamenti del 1943. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’edificio venne restaurato dalla Soprintendenza di Palermo e il progetto di allestimento fu affidato a Carla Scarpa nel 1953, in collaborazione, non sempre facile, con Giorgio Vigni, Soprintendente alle Gallerie e alle Opere d’Arte della Sicilia.
Le soluzioni geniali adottate da Scarpa, per isolare visivamente alcune delle opere più importanti della collezione, sono spesso citate nella storia dell’architettura: dalla sistemazione in diagonale dell’Annunciata (1473 circa) di Antonello da Messina, al fondo verde che isola il contorno del busto marmoreo di Eleonora d’Aragona (1468 circa) del dalmata Francesco Laurana, dall’anfora a “loza dorada” sospesa nella nicchia aperta sul cortile alla sistemazione del grande affresco staccato del Trionfo della Morte (metà XV sec.) nella cappella del palazzo, illuminato dalla luce che proviene dalla cupola, filtrata da un velo bianco traforato. L’ utilizzo dei materiali è particolarmente raffinato, dal cemento a vista al ferro, dal legno alla pietra e all’ottone. Scarpa è famoso per la cura del dettaglio, dalle cerniere delle porte ai basamenti delle sculture fino ai dipinti sostenuti su un solo lato (soluzione straordinaria e originale), in modo da poter essere ruotati manualmente, come le pagine di un libro, da studiare con attenzione e posizionare in base alle variazioni della luce naturale.
Alcuni mesi fa è uscito un libro di Santo Giunta, architetto, ricercatore in Composizione architettonica e urbana presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo, dal lungo titolo enigmatico, “Carlo Scarpa. Una [curiosa] lama di luce, un gonfalone d’oro, le mani e un viso di donna. Riflessioni sul processo progettuale per l’allestimento di Palazzo Abatellis, 1953-1954 (edizioni Marsilio). Le narrazione parte da un’indagine storica, risultato di anni di ricerca presso l’Archivio Carlo Scarpa e dello studio di disegni e documenti, alcuni dei quali inediti, concepita col ritmo incalzante del romanzo giallo. Il libro inizia con l’esame di alcuni indizi, taluni enunciati nel titolo del saggio, e formula un’ipotesi che parte da una semplice domanda, seguendo il metodo di analisi scientifica che l’autore ha appreso dal suo maestro, l’arch. Pasquale Culotta: da dove si entra? Giunta ipotizza che l’attuale numerazione delle sale del museo (il percorso espositivo che il visitatore trova oggi indicato per la visita) “forzi” il percorso originario concepito da Scarpa. Nel suo scritto, l’autore introduce il lettore ad un diverso percorso espositivo, all’inverso di quello attuale: si parte dal piano nobile – dove abitualmente venivano ricevuti gli ospiti di una dimora storica come questa – e la visita si conclude al piano terra con il “gran finale” del Trionfo della morte, dove l’accento viene posto sul dettaglio della fontana dipinta, fonte di vita, che frena la corsa della Morte a cavallo. Capitolo per capitolo (e sarà difficile per il lettore mantenere la suspence e non saltare subito alla fine per leggere le conclusioni) egli cerca di farci comprendere diversi collegamenti tra l’allestimento e il processo progettuale del “fare scarpiano”, svelando un possibile messaggio codificato, alla stregua della lettura iconologica di un dipinto. Un’ipotesi scritta con un linguaggio scientifico ma – allo stesso tempo – didattico, capace di alimentare la curiosità del lettore perché frutto di sopraluoghi sul posto con gli studenti della Facoltà di Architettura, seguendo una feconda tradizione palermitana delle lezioni itineranti.
La visita al piano nobile inizia dalla porta disegnata da Scarpa, che stando seduti sulla panca del bellissimo e magico cortile interno al piano inferiore, non è visibile. Dalla stanza dove è esposta la croce dipinta dal Maestro di Castelfiorentino (XIII sec.), si inizia a sperimentare il movimento circolare voluto da Scarpa, e la possibilità di osservare l’opera da entrambi i lati ci ricorda che essa è un oggetto concreto, manufatto dell’ingegno umano. Da queste prime sale si passa, superando uno stretto corridoio dove Scarpa ha allestito un grande ostensorio d’argento (luogo inusuale le cui possibili motivazioni sono raccontate) al Salone delle Croci, dove l’architetto fa scrostare dall’intonaco soltanto due pareti e toglie il controsoffitto ligneo posticcio. Il raffronto è con la celebre “Crocifissione di Sibiu” di Antonello, oggi conservata a Bucarest, che Scarpa aveva allestito nella mostra “Antonello e la pittura del ‘400” a Messina, con grande consenso di critica e di pubblico, che gli aveva valso la successiva committenza per palazzo Abatellis. Il percorso continua nella stanza dedicata ad Antonello da Messina e qui l’autore del libro risponde ad una domanda che viene spontanea ai visitatori: perché Scarpa ha messo un gonfalone d’oro accanto all’Annunciata? Nel raccontarci la possibile spiegazione di tale scelta di questo e di altri dettagli che si succedono l’uno dopo l’altro, dal primo piano al piano terra, Giunta ricostruisce lo “spirito del tempo” degli anni Cinquanta: quello in cui Lucio Fontana (amico di Scarpa) concepiva i suoi famosi “concetti spaziali”, dove la tela monocroma, tagliata per unire spazio e colore, creava un senso di infinito e di circolarità. Il libro racconta un gioco seducente di connessioni, capace di catturare il lettore-visitatore all’interno di una tesi originale, audace e affascinante, dove il “diavolo del dettaglio” è unito abilmente al racconto del contesto generale della storia dell’allestimento scarpiano e l’autore ci ricorda che “per Carlo Scarpa, il protagonista dei luoghi della galleria è il visitatore che si muove e si ferma davanti a un quadro con il desiderio di una scoperta, di una sorpresa, di un’emozione”.