Palermo, morti sospette in corsia. Commissione smentisce Caronia

Caronia e le morti sospette in corsia. La commissione ‘smentisce’ il chirurgo

Il medico aveva registrato i colleghi. Il caso però non è chiuso

PALERMO – “Relativamente ai casi clinici attenzionati dagli organi di stampa a seguito delle dichiarazioni del dottor Caronia questa commissione non rileva profili di censurabilità sull’attività espletata dall’unità operativa di Chirurgia toracica”.

Così scrivono i sei medici della commissione straordinaria nominata dall’assessorato regionale alla Salute per valutare l’operato dei medici dell’ospedale Civico di Palermo. La relazione è stata trasmessa il 23 giugno scorso. Nel frattempo proseguono le inchieste della Procura della Repubblica e i procedimenti disciplinari.

La denunce di Caronia

Il caso mediatico esplose lo scorso maggio quando Francesco Caronia denunciò “morti sospette” al Civico causate da “errori grossolani” in sala operatoria. Dopo le denunce in Procura il chirurgo si è rivolto al deputato regionale Ismaele La Vardera e la vicenda ha avuto una risonanza nazionale. Caronia era in possesso delle registrazioni delle conversazioni con i colleghi del reparto.

Puntava il dito soprattutto sulla gestione da parte del primario, Damiano Librizzi, che gli era pure stato preferito al concorso per primario. Da luglio 2022 Caronia ha presentato otto querele. Con nomi, cognomi e numeri di cartelle cliniche. Denunciò pure presunte irregolarità nel concorso e falsi nelle cartelle cliniche.

Al deputato regionale La Vardera consegnò le registrazioni fatte da Caronia in reparto all’insaputa di colleghi e primario. Il contenuto, ad onore del vero, mostrava dei passaggi inquietanti che imponevano una valutazione giudiziaria.

Uno dei casi divenne il simbolo dello scandalo. Riguarda una donna. Si chiamava Nadia ed è morta per le complicazioni dopo un intervento in anestesia totale che, secondo Caronia, non doveva essere fatto. Era una mamma di 37 anni che ha lasciato due bambini. Caronia registrò una conversazione con il primario Librizzi e un terzo medico. I tre discutevano della tragedia.

“Non doveva essere operata”

“Non doveva essere operata, dovevi puntare i pugni con l’anestesista per non farla addormentare”, diceva Caronia a Librizzi. “Ah, sì sì, questa è la mia angoscia”, rispondeva il primario. “Tu non la dovevi addormentare… la facciamo in locale perché la paziente muore… minchia e muriu, scusate la volgarità… a 37 anni, non è… e siamo fortunati che non ci ha denunciato, siamo fortunatissimi”, aggiungeva Caronia.

Il terzo medico ammetteva che “… è arrivata troppo lunga… abbiamo tra virgolette con un minimo e un pizzico di malizia e malignità giocato sul fatto che la donna più volte ci disse che stava ritardando perché aveva paura di fare diagnosi e lì su questo ci abbiamo marciato, è chiaro che lì l’errore è stato nostro”.

Il caso della povera Nadia

Sul caso della povera Nadia i medici della commissione scrivono: “Coi dati il nostro possesso non è possibile formulare una diagnosi di morte certa, ma la stessa è presumibile con criterio della preponderanza e identificabile con le complicanze connesse alla podologia neoplastica. Giova altresì evidenziare che una diagnosi all’ingresso (tempo zero) benché non concretamente realizzabile, non avrebbe modificato l’evoluzione degli eventi dovendosi mettere in atto per la formulazione della diagnosi un articolato percorso diagnostico terapeutico pre trattamento (esami strumentali, esami istologici, esami di laboratorio eccetera)”. Aveva un linfoma di hodgkin che avrebbe potuto avere un solo tragico approdo: il decesso.

Sulla questione dell’anestesia, si legge ancora nella relazione che “in riferimento alla scelta anestesiologica sulla base degli elementi il nostro possesso alla luce delle condizioni della paziente riteniamo di poter condividere la scelta posta in essere in occasione della biopsia chirurgica incisionale” (in anestesia generale ndr) sebbene la valutazione richieda l’ausilio di uno specialista in anestesia”. Solo ed esclusivamente l’anestesista poteva decidere come intervenire sulla base dei dati clinici della paziente.

Il lavoro della commissione non ha riguardato solo i casi denunciati da Caronia. In generale ha analizzato ottocento cartelle cliniche di pazienti curati in reparto dal 2020 al 2025. Alcuni passaggi non convincono. Per il tumore al polmone, ad esempio, “si è osservato un’alta incidenza di resezione tipiche e/o cuneiformi con un maggior rischio di recidive e locali. Tale approccio non totalmente aderente alle linee guida nazionali e internazionali non consente una stadiazione completa e conseguentemente determina una non corretta programmazione dell’eventuale terapia oncologica successiva )chemioterapia e radioterapia immunoterapia e terapia biologica”.

La vicenda non è certo chiusa. La Cassazione lo scorso luglio ha riaperto la questione delle cartelle cliniche che secondo Caronia, sarebbero state falsificate.

Caronia si era opposto alla iniziale richiesta di archiviazione, ma il giudice per le indagini preliminari aveva archiviato ritenendo che il medico non avesse titolo per opporsi. Solo il Civico e non il chirurgo poteva essere considerato parte lesa.

Gli avvocati Elena Gallo e Gianluca Calafiore hanno fatto ricorso ai supremi giudici, i quali hanno stabilito che andava presentato un reclamo e non un ricorso. Per il principio di salvaguardia dei mezzi di impugnazione, però, la Cassazione ha rimandato la valutazione al Tribunale monocratico. Una questione procedurale che di fatto potrebbe riaprire uno dei tre filoni investigativi e processuali in corso. L’udienza p fissata per il 15 gennaio 2026.

Caronia aveva denunciato una sfilza di presunti falsi nei registri operatori e nelle schede di dimissioni ospedaliere. Sia i pubblici ministeri che il giudice hanno ritenuto che non ci sono state “condotte penalmente rilevanti”.

“Nel merito sono condivisibili le considerazioni del pubblico ministero, fondate anche sulle dichiarazioni di alcuni indagati in sede di interrogatorio – ha così motivato il gip -, dalle quali è emersa o l’insussistenza del fatto, per la correttezza o non evidente scorrettezza dei codici di intervento indicati, o, comunque, l’assenza del necessario elemento soggettivo”.

Nella maggior parte dei casi, secondo Caronia, i colleghi (medici strutturati e specializzandi) nelle schede di dimissioni avrebbero indicato falsamente un codice (“asportazione o demolizione di lesione della parete toracica”), rispetto a quello reale (“altra asportazione di tessuti molli”).

La prima denuncia di Caronia riguardava le presunte irregolarità nel concorso per primario. Tre anni fa gli venne preferito Damiano Librizzi. Un altro Gip ha stabilito che i falsi nella casistica degli interventi presentata dal vincitore sono stati commessi, ma non hanno inciso sull’esito finale del concorso. Librizzi, assistito in tutti i procedimenti dall’avvocato Tommaso De Lisi, meritava quel posto.

E poi c’è il capitolo disciplinare. Entrambi sono sotto valutazione. Caronia perché avrebbe intrattenuto rapporti con la stampa e non solo senza l’autorizzazione dell’azienda. Librizzi per la gestione del reparto, anche e soprattutto alla luce del ruolo di Caronia. Entrambi sono stati sentiti dalla commissione disciplinare del Civico. Il “verdetto” dovrebbe arrivare entro dicembre.


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