Palermo chi era Moataz il giovane tunisino ucciso

Moataz, ammazzato di botte a Palermo: chi era il ragazzo ‘invisibile’

La storia del giovane tunisino morto in ospedale

PALERMO- Per tutti è il ragazzo tunisino ammazzato di botte, in via Maqueda. Lasciato sul selciato e spirato al Policlinico. Aveva vent’anni e un nome. Si chiamava Moataz Derbeli. Era arrivato su un barcone – dicono – come minore non accompagnato.

Stava seguendo un percorso che l’avrebbe portato a una maggiore tranquillità. Ma qualcosa, forse, ha deviato i suoi passi.

Fino a quel giorno atroce, in pieno centro storico. Moataz è rimasto inerte, sull’asfalto, con il viso rivolto al cielo, dopo i colpi. Gli hanno praticato, a lungo, un massaggio cardiaco. I passanti lo hanno osservato, tra sgomento e curiosità. Ma lui, già, non poteva più vederli.

Lo hanno portato al pronto soccorso del Policlinico. E si è subito capito che la situazione, molto più che disperata, avrebbe portato a un esito inevitabile. Medici generosi hanno tentato di salvarlo. C’è sempre la speranza umana, oltre l’evidenza clinica. Ma è stato invano.

Nessuno è andato da lui, o quasi. Non c’è stata una piccola folla dolente e in preghiera, dietro la porta della terapia intensiva. Si è fatto vivo uno zio che sta Mazara. La consigliera Mariangela Di Gangi si è informata, si è recata in ospedale. Ha cercato, in tutti i modi, di rendere visibile un invisibile.

“Questa è una storia di solitudine – dice, ora, la consigliera Di Gangi – ed è una sconfitta generale. Abbiamo un giovane sulla coscienza, uno che non è stato protetto”.

“Moataz – racconta l’assessore alle Politiche migratorie, Rosi Pennino – aveva completato il suo percorso di integrazione, nel progetto Sai-Sistema di Accoglienza Integrazione del Comune di Palermo. C’erano bei progetti, c’erano bei sogni. Poi, uscito dal progetto, per sua scelta, ha viaggiato ed era da poco rientrato a Palermo”.

“Subito dopo l’aggressione – aggiunge Pennino -, la comunità tunisina, gli operatori del Sai e il Consolato tunisino si sono attivati e gli sono stati vicino per tutto il tempo del ricovero. Siamo tutti sgomenti per avere perso Moataz”.

Intorno al protagonista della sua stessa tragedia, c’è una città lontana, sazia di fuochi d’artificio e babbaluci. Una città che monsignor Lorefice, l’arcivescovo, ‘Don Corrado’, ha cercato di scuotere dalla sua apatia in vari momenti del Festino.

“Dobbiamo avere il coraggio di dirci che Palermo è ancora appestata”, ha quasi gridato. La risposta è stata un veloce battersi il petto, per tornare alle consuetudine.

Moataz aveva vent’anni. Ha cominciato a morire, guardando il cielo sopra via Maqueda. E solo perché è morto non è stato più invisibile. Solo perché è morto, adesso, noi sappiamo il suo nome.


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