Ho letto su Livesicilia l’intervento della consigliera comunale di Palermo Valentina Chinnici. Un appassionato atto di fede nei confronti del “Civismo” (lo definirei una sorta di stato interiore del buon politico considerato dai partiti uno straniero e costretto a ricorrere alle liste civiche) come appassionata è del resto Valentina, la conosco, un’insegnante che vive il suo lavoro da missionaria, una donna nelle istituzioni integerrima, una persona perbene. Cos’è per la consigliera Chinnici il Civismo? “Il Civismo, per come lo intendo e lo rivendico – leggiamo nel suo intervento – non è altro che la Politica che sa riallacciarsi al popolo chiamato a eleggere i propri rappresentanti. Il Civismo è, insomma, la politica che sta nei territori, che non ‘ritorna’ nelle periferie con linguaggio coloniale, perché semplicemente dalle periferie non s’è mai allontanata, neppure quando i partiti chiudevano le loro storiche sezioni”. Mi perdonerà la mia cara amica ma il Civismo, certamente un valore, un inestimabile patrimonio di volontà e di coscienze votate al bene comune, è innanzitutto la sconfitta del sistema dei partiti, sistema dei partiti, non dimentichiamolo, voluto dai Padri costituenti quale baluardo di libertà, di partecipazione collettiva, di presidio della democrazia. Oggi, veramente da decenni, i partiti non godono più di quella fiducia di cui godevano ai tempi di De Gasperi, Moro, Zaccagnini, di Berlinguer, Nenni, Pertini. Sarebbe immaginabile una Nilde Jotti o una Tina Anselmi invocare il Civismo? Evidentemente no, perché pur con alcune storture e il Muro di Berlino nel mezzo i partiti rappresentavano comunque quel filo robusto tra la società, nella sua complessità, e i palazzi del potere. Stavano nel territorio, le sezioni erano aperte da mattina a sera e nei piccoli centri o nei quartieri di città erano anche luoghi di socializzazione, magari si giocava a carte quando non si doveva dibattere, scontrarsi, dire la propria su temi di grande rilevanza purché si rimanesse insieme, accomunati dalla medesima voglia di esserci. La Chinnici osserva: “Tuttavia, l’errore degli stessi partiti, a mio parere, è il dichiarare di aprire le porte al Civismo come se si trattasse di una concessione che l’apparato fa per mostrarsi permeabile e ‘aperto’, capace di stare e dialogare con chi è fuori dal palazzo”. Bè, sono le ‘furbate’ dei partiti ridotti a contenitori ormai senza un’anima, a stazioni della metro affollati di cambia casacca disponibili a tradire a seconda delle convenienze personali, a congreghe con il nome del capo stampato sul simbolo o con una finta democrazia interna dove a decidere sono il leader maximo o i capicorrente. I partiti aprono al Civismo, cioè alle risorse di qualità presenti nel territorio, nel mondo della cultura, nelle categorie professionali e produttive, solo in prossimità delle elezioni per poi abbandonarlo, privarlo di ogni peso reale nelle decisioni che contano, fino alle elezioni successive. Così non va, così la politica non si rinnoverà mai, non si rinnoveranno mai i partiti che rimangono essenziali secondo il disegno costituzionale tuttora attuale. La verità è che dopo la morte dei partiti della Prima Repubblica, a causa di una immensa questione morale già denunciata da Enrico Berlinguer anni prima, la politica ha saputo partorire unicamente partiti e movimenti mercantili, sovranisti, fascistoidi, secessionisti, leaderistici o nel caso del PD incapace di realizzare una definitiva sintesi tra le diverse culture che lo avevano generato. Il M5S fu rivoluzionario in tema di coinvolgimento della base e adesso lo vediamo assai diviso, dilaniato in una inammissibile lotta per la guida del movimento tra Grillo e l’ex premier Conte. Peccato. Le conseguenze le stiamo scontando amaramente, siamo un popolo facilmente ingannabile, una democrazia non pienamente compiuta. In conclusione, il Civismo dovrebbe costituire una componente essenziale dei partiti, la loro vocazione naturale, la loro ragion di esistere, sennò sono apparati, poltronifici, possibili strumenti di corruzione e di scellerate contiguità con le mafie. Centinaia di migliaia di atti processuali lo testimoniano. In atto, invece, comprensibilmente avvertiamo il Civismo in contrapposizione ai partiti. Bisogna averlo chiaro, sia per non offrire l’alibi ai partiti di rimanere uguali a se stessi, tanto c’è il Civismo da usare tipo operazione estetica, sia per non avallare un convincimento che sarebbe esiziale per il futuro delle nostre istituzioni, cioè la necessità di separare la politica buona, destinata all’irrilevanza, dai partiti condannati alla irredimibilità, un male inevitabile ma pur sempre un male. Alla fine vincono la disaffezione dei cittadini e l’astensionismo.
"La politica che sta nei territori, che non 'ritorna' nelle periferie con linguaggio coloniale"
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