PALERMO – Tredici anni di inchieste e processi. Ieri si è chiuso con l’assoluzione l’ultimo capitolo giudiziario che vedeva imputato Gioacchino Genchi, oggi avvocato, ex poliziotto ed ex esperto informatico chiamato a collaborare da diverse Procure in delicate indagini.
Un’assoluzione piena perché il fatto non costituisce reato come ha stabilito il Tribunale presieduto da Donatella Puleo, a latere Salvatore Flaccovio e Marina Minasola. I pubblici ministeri Gaetano Guardì e Claudia Ferrari avevano chiesto la condanna a due anni.
Genchi non ha violato i dati personali dell’ex vice procuratore nazionale antimafia Alberto Cisterna acquisendo i suoi tabulati telefonici quando era consulente dell’ex pm Luigi de Magistris e non ha commesso reato scrivendo della sua rete di rapporti nel libro-intervista ad Edoardo Montolli “Il caso Genchi. Storia di un uomo in balia dello Stato”.
Genchi, difeso dall’avvocato Fabio Repici, aveva rinunciato alla prescrizione. Cisterna, parte civile nel processo, si rivolse alla magistratura dopo la pubblicazione del libro (non è stata l’unica inchiesta sul caso). Su richiesta dell’allora procuratore di Palermo Francesco Messineo e dell’aggiunto Bernardo Petralia fu disposto il sequestro dei sistemi e dei supporti informatici al tempo utilizzati da Genchi.
Su tutti il mega archivio “Teseo” che raccoglieva numeri telefonici, incroci e contatti raccolti in anni di lavoro con le Procure di mezza Italia. Basti pensare che Genchi collaborò con Giovanni Falcone e fu consulente nelle indagini sulle stragi del ‘92. Poi le inchieste calabresi “Poseidone” e “Why Not”.
Nel corso dell’acquisizione dei tabulati dei dati relativi al traffico telefonico emersero alcune utenze cellulari in uso ad Alberto Cisterna, quando era procuratore aggiunto alla Direzione nazionale antimafia, guidata da Piero Grasso.
In particolare, Genchi aveva trovato dei rapporti tra Cisterna e Luciano Lo Giudice, appartenente ad una famiglia di ‘ndrangheta di Reggio Calabria. Rapporti che costarono a Cisterna la sanzione disciplinare, il del trasferimento d’ufficio e l’incompatibilità a svolgere funzioni requirenti.
Nel libro si faceva riferimento anche alle telefonate con l’avvocato Giancarlo Pittelli, ex senatore di Forza Italia, recentemente arrestato con l’accusa di essere la cerniera tra le cosche della ‘ndrangheta e la politica, nel cui studio legale di Roma al tempo collaborava la moglie di Cisterna.
Nella memoria difensiva l’avvocato Repici ha spiegato che “tanto i contenuto dell’intervista, che le considerazioni dell’intervistatore, non riportano alcun dato personale del dottor Alberto Cisterna, trattandosi tutte di informazioni pubbliche, già ampiamente divulgate da fonti aperte”.
Inoltre è stata sostenuta “la liceità della detenzione e del trattamento dei dati delle consulenze giudiziarie svolte, anche per adempiere alla numerose richieste che tuttora gli pervengono da parte di numerose autorità giudiziarie di tutta Italia”.
Cisterna aveva anche presentato un esposto al Garante della privacy che aveva inflitto a Genchi una sanzione di 192 mila euro, annullata prima dalla sezione civile del Tribunale di Palermo e poi dalla Cassazione, che ha rigettato il ricorso del Garante e ha integralmente confermato la sentenza del Tribunale di Palermo.
Nella sentenza gli “ermellini” dapprima rimarcano “la congenita debolezza dell’impianto istruttorio su cui si regge l’accusa mossa nei confronti del Genchi” e poi picconano le accuse “non essendo stato effettivamente provato sulla scorta di un’analisi tecnica approfondita che Genchi avesse trattato i dati in suo possesso per finalità estranee a quelle di giustizia in ragione delle quali ne era avvenuta l’acquisizione”.
Ora l’assoluzione del Tribunale di Palermo che ha ordinato anche la restituzione del materiale informativo allora finito sotto sequestro.