Il depistaggio su Borsellino, Genchi: "La Barbera seguì precise direttive" - Live Sicilia

Il depistaggio su Borsellino, Genchi: “La Barbera seguì precise direttive”

La deposizione a Caltanissetta

CALTANISSETTA – “Arnaldo La Barbera aveva preso una deriva e non stava lavorando per i miei fini che erano i fini istituzionali. Io non accettavo minimamente di trasgredire a quelli che erano i miei doveri istituzionali”. Lo ha detto l’avvocato ed ex poliziotto Gioacchino Genchi, deponendo come teste al processo sul depistaggio delle indagini sulla Strage di via D’Amelio che si celebra in Corte d’Appello a Caltanissetta. Il riferimento è al poliziotto Arnaldo La Barbera, a capo del gruppo Falcone-Borsellino che indagava sulle stragi di Capaci e via D’Amelio.

La Barbera e le stragi

E proprio di questo gruppo facevano parte i tre poliziotti imputati nel processo, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di aver imbeccato il falso pentito Vincenzo Scarantino per costruire una falsa verità sulle stragi. “La Barbera – ha continuato Genchi – era stato istruito dal procuratore di Caltanissetta sui contenuti della sentenza del maxi processo che portava in modo automatico ad attribuire a Cosa nostra qualsiasi evento fosse avvenuto a Palermo. Tutto ciò che c’è nelle dichiarazioni di Gaspare Mutolo, che portava a un ruolo equivoco di Bruno Contrada e altri appartenenti allo Stato, doveva essere sottaciuto perché si doveva chiudere così per poi avere la promozione e andare via da Palermo. Perché si doveva confezionare il pacco. Ricordo una frase di La Barbera ‘L’ultima cosa che farò, quando andrò via, sarà fare un giro in elicottero per fare la pipì sulla questura di Palermo’. Siamo tra la fine del ’91 e l’inizio del ’92 – precisa Genchi – La Barbera cercava di andare via da Palermo e non lo svincolavano perché non trovavano un successore”.

“La Barbera voleva ‘vestire il pupo’”

“La Barbera – ha aggiunto poi Genchi – era portatore di direttive precise, su questo voglio essere chiaro, non ha mai fatto nulla se non sotto la direzione diretta del capo della polizia. Ha eseguito direttive sempre e non ha mai agito autonomamente. Oggi è troppo facile processare i morti e questa è l’unica certezza che ho”. Secondo Genchi “la strategia di La Barbera era quella di ‘vestire il pupo’. Chiudere, fregarsene di tutto e di tutti e chiudere le indagini. Perché a Roma volevano che si facesse così”.

Bruno Contrada e le ‘paure’ di Roma

Genchi, che parla anche di “armi manipolate” per vanificare alcuni esami balistici, poi continua: “La mia fonte era La Barbera stesso. Mi spiegò che a Roma stavano prendendo atto, non piacevolmente, del coinvolgimento di Contrada, nelle indagini. Erano preoccupati perché Contrada era stato sempre un uomo delle istituzioni e c’era la paura di quello che poteva tirare fuori. Contrada era stato mollato, era stato espulso dal sistema, che a quel punto si doveva ricompattare. L’imminente arresto di Contrada diede il via a una marcia indietro. Da quel momento iniziano le certezze di La Barbera di avere la promozione, inizia il tentativo di chiudere e di semplificare le cose, di ‘vestire il pupo’ come disse lui stesso”.


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