ROMA – Confermato dalla Cassazione il ‘no’ deciso dal Tribunale di Palermo, nel luglio 2019, alla multa da oltre 192mila euro richiesta dal Garante della Privacy, istituzione al tempo ‘guidata’ da Antonello Soro, nei confronti di Gioacchino Genchi, l’ex consulente di tanti pm esperto nell’analisi delle intercettazioni che, secondo l’Authority avrebbe costituito “illecitamente” una banca dati nella quale avrebbe, tesi ritenuta non provata dai supremi giudici, “fatto confluire le risultanze acquisite nel corso di 351 incarichi peritali affidatigli in varie località del Paese dall’autorità giudiziaria competente”.
Rileva in proposito la Suprema Corte che “in ogni caso”, anche davanti ai cambiamenti normativi che nel tempo si sono susseguiti in tema di tutela dei dati sensibili, “il trattamento dei dati che avviene per fini di giustizia è scevro da adempimenti di carattere formale e non è perciò sanzionabile”. Genchi, funzionario di polizia reintegrato in servizio e uscito assolto nei procedimenti penali aperti contro di lui per via del suo ‘archivio’ , tra l’altro è stato consulente dell’ex pm Luigi De Magistris e della procura di Palermo, ha ricevuto molti incarichi tra i quali quelli per le indagini Why not e Poseidone, e quelle su Telecom e Fastweb. Gli ‘ermellini’ inoltre sottolineano “la congenita debolezza dell’impianto istruttorio su cui si regge l’accusa mossa nei confronti del Genchi” dal Garante che si è battuto per multare l’ex funzionario di polizia sostenendo che aveva conservato i dati personali oltre il termine di due anni. Sul punto la Cassazione obietta che il termine del biennio non è affatto perentorio in quanto ci sono “disposizione normative” che possono derogarlo e sono possibili anche “specifiche autorizzazioni dell’autorità giudiziaria che dispongano legittimamente ed espressamente in senso contrario”, sempre “per finalità connesse all’ambito giudiziario”.
Inoltre il Garante – sottolineano gli ‘ermellini’ – se voleva “coltivare fruttuosamente la perseguita finalità sanzionatoria”, avrebbe dovuto verificare “che per tutti i 351 incarichi ricevuti, il Genchi avesse conservato i dati acquisiti ben oltre il termine massimo delle indagini preliminari”. Ed anche verificare se per tutti i 351 incarichi a lui affidati “non vi fosse un provvedimento autorizzatorio al trattamento dei dati, anche ad incarico espletato, dell’autorità giudiziaria per conto della quale le attività consulenziali erano state svolte”. “Quanto si contesta al Genchi – conclude la Cassazione – non riposa su un solido ed inoppugnabile fondamento probatorio” e le obiezioni dell’Authority sono prive “di ogni consistenza” non essendo stato “effettivamente provato sulla scorta di ‘una analisi tecnica approfondita’ che il Genchi avesse trattato i dati in suo possesso per finalità estranee a quelle di giustizia in ragione delle quali ne era avvenuta l’ acquisizione”. Il ricorso del Garante è così stato respinto dalla Prima sezione civile della Cassazione – presidente Francesco Antonio Genovese, estensore del verdetto Marco Marulli – nella camera di consiglio svoltasi lo scorso 19 novembre.