PALERMO– L’unico orientamento visivo e – perché no? – politico è dato dalla sardina suprema che sventola, sorretta da trepide mani ignote, in faccia al Tetro Massimo. Altrimenti non ci sarebbero altri segnali per interpretare il senso di quella folla robusta e silenziosa.
Sono tifosi di calcio che hanno sbagliato indirizzo? Sono gli invitati a una prima comunione di dieci anni fa che hanno deciso di ritrovarsi, allargando la festa ad amici e parenti? Un po’ qualcuno lo riconosci. C’è il militante appassionato di sinistra che ha perso tutte le elezioni perdibili eppure non molla. C’è l’uomo di cuore che aiuta i poveri, non essendo ricco. C’è l’elettore, un po’ attempato, dei tempi dell’Ulivo. Brave persone, persone gentili. Unico segno distintivo: la sardina che sventola fiera. Siamo in zona Montale ‘Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo’, con Matteo Salvini nel ruolo di convitato e antipatizzato di pietra.
Le parole d’ordine, messe in fila, sono rispettabili, anche per l’esordio siciliano. Anzi, bellissime. Antifascismo. Solidarietà. Tolleranza. Umanità. E pensi, con un filo di sgomento, alla necessità che le ha richiamate in servizio. Perché il razzismo – che sia di pochi o di molti – esiste davvero, sui social e altrove. Perché ci sono creature del web che festeggiano quando una barca carica di migranti affonda col suo carico. Chi può alzare le spalle? Il resto è un vuoto da riempire.
Dice Roberto Buscetta, musicista: “Non dobbiamo pensare alle piattaforme classiche, al modo tradizionale di manifestare. Questa è una cosa nuova ed è politica, pienamente politica”. C’è il pittore Gaetano Lo Manto: “Sono qui perché sono arrabbiato contro la deriva e reagisco”. C’è il direttore di banca che vuole “sentire un profumo fresco come la nostra Costituzione”. E ci sono gli organizzatori che si sgolano e ripetono che il movimento è apartitico, non strumentalizzabile, “per una politica finalmente seria”.
Dal punto di vista organizzativo l’appuntamento è riuscito. La piazza è stracolma. Era stato preparato con giorni di consultazioni sulle pagine facebook e in quella sede si era annotata la composizione variegata dell’insieme. Citazioni di Primo Levi, ma anche di Jules Verne. La retorica ittica del pesce piccolo che divora il grosso e prepotente. E qualcuno che se la prendeva con il gattino di un celebre tweet salviniano.
Poi, una nota ufficiale a presidio di tanta rarefatta illibatezza: “Nelle ultime ore stiamo assistendo alle adesioni di diversi esponenti politici. Vogliamo evitare che una manifestazione pacifica venga strumentalizzata da qualsiasi parte. Sia chiaro fin da subito che chi vorrà partecipare potrà farlo esclusivamente a titolo personale e non saranno ammessi interventi politici. Perché se è vero che una dialettica dell’odio ed il ritorno ad un confronto politico educato e costruttivo è l’obiettivo delle sardine, è anche vero che finora nessuno ha saputo catalizzare questa necessità. Tale decisione è stata assunta in coordinamento con i ragazzi di Bologna”. Infatti, c’è il sindaco Orlando. Muto come un pesce nei dintorni dell’epicentro.
Si susseguono gli interventi. Si discute di ‘rivoluzione culturale’. Di ‘vittime del sistema’. Un volantino concorrenziale che circola, sardonicamente, si chiede: ‘Ma dove vanno le sardine’. “La domanda è legittima, dove andiamo non lo so, però è bello esserci”, si risponde a tono, al culmine di un dialogo. Ancora voci: ‘Basta con il clima d’odio’. Dallo sfondo arriva il ragazzo che vende libri davanti alla Feltrinelli col sorriso di chi pensa che il contesto sia propizio agli affari. Lui è un garbato pesciolino che naviga a vista, loro sono miti come sardine. Non lo mangeranno.