PALERMO – “Non voglio parlare più di questa storia”, dice la vittima dello stupro del Foro Italico. Una frase secca dopo le condanne emesse dal Tribunale. Nessun altro commento sulla terribile notte del luglio dell’anno scorso
La prima tappa è alla Vucciria. È qui che inizia la drammatica cronaca del 7 luglio 2023. Angelo Flores, uno dei sette condannati per lo stupro del Foro Italico, conosce la vittima. “In passato ero molto legata ad Angelo, anzi ne ero innamorata”, racconterà la diciannovenne.
“Angelo era insieme a un certo Cristian e altri cinque di cui non so i nomi – aggiungerà nella denuncia la ragazza -. Poi mi hanno fatto fumare”. Fumo e alcol in un angolo della città dove l’illegalità è dilagante.
I carabinieri estrapolano i fotogrammi. Le immagini vanno ad ingrossare il fascicolo delle indagini prima e del processo poi: 47 minuti dopo la mezzanotte si vede la ragazza appoggiarsi ad uno degli imputati. Guardano qualcosa sul cellulare.
“Due di loro mi hanno preso sottobraccio. Mi hanno fatto camminare dai Quattro Canti a scendere verso il mare. Ero da sola con questi ragazzi, in tutto sette – prosegue il racconto -. Due mi toccavano il seno e altri due le parti intime, mentre camminavamo e gli altri ridevano”.
Le versioni di accusa e difesa si scontrano. Gli imputati dicono che è la ragazza a proporre di fare sesso di gruppo, a chiedere di spostarsi al Foro Italico, a condurli nel cantiere abbandonato. Nella fotografia si vede la diciannovenne alla testa del gruppo, tenuta sottobraccio da due indagati. La scena viene ripresa dalla telecamera dell’istituto Nautico, 57 minuti dopo la mezzanotte.
La vittima dice di avere chiesto aiuto a dei passanti e di essere stata ignorata. Gli avvocati la contestano. Passa accanto a un gruppo di tre persone, nessuna di loro si è girata. Non solo non ha chiesto aiuto – è la tesi difensiva – ma ha proposto di cambiare strada per non farsi vedere da una persona che conosceva.
“Siamo arrivati al Foro Italico e vi era un’apertura e mi hanno fatto entrare lì. Dopo che mi hanno spogliato…”: così inizia il racconto dello stupro consumato oltre la barriera in lamiera che chiude l’area del cantiere. All’una e 24 una telecamera inquadra il branco che si allontana dall’angolo buio.
La foto immortala il momento descritto dalla vittima: “Ricordo che mi sono allontanata dal gruppo camminando lungo il rettilineo che va verso la strada e ho telefonato al mio ragazzo. Sentivo dei forti dolori… alcuni ragazzi mi hanno derisa… quando il mio ragazzo ha risposto al telefono non sono riuscita a dire altro se non che avevo bisogno dell’ambulanza”.
“Mi sono accasciata a terra con il cellulare in mano… sono stata raggiunta da qualcuno che ha chiuso la chiamata e mi ha fatto alzare in piedi. Mi hanno riportata innanzi ad Angelo che era rimasto in disparte. Gli ho chiesto di chiamare un’ambulanza, ma lui ha risposto che non lo avrebbe fatto perché non voleva che fossero coinvolte le forze dell’ordine. Poco dopo se ne sono andati, Angelo mi ha aiutato a superare il buco dopodiché lo hanno attraversato anche tutti gli altri”. Infine si accascia su una aiuola dove viene soccorsa da due donne.
Poco dopo, intorno all’1:30 le telecamere di sorveglianza inquadrano il gruppo entrare in una rosticceria alla Cala per mangiare qualcosa come se nulla fosse accaduto.
“Ragazzi, a noi le telecamere ci hanno fottuto, perché noi mentre ce ne stavamo a braccetto e la toccavamo…”, dice Christian Maronia, un altro dei condannati, mentre si trova in caserma.