Palermo, il boss finì ai domiciliari, c'è lo zampino dell'ex sindaco?

Il boss ergastolano ai domiciliari e l’ex sindaco legato ai servizi segreti

Una sequenza sospetta di telefonate e incontri
IL RETROSCENA
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PALERMO – Serviva l’aiuto di Antonio Vaccarino per fare ottenere gli arresti domiciliari al mafioso ergastolano Francesco D’Amico.

Spunta un nuovo mistero legato alla figura dell’ex sindaco di Castelvetrano, assoldato dai servizi segreti per stanare Matteo Messina Denaro, morto nel maggio 2021.

Il genero e gli incontri

Sarebbe stato il genero di D’Amico, Alessandro Lombardo, a cercare sponda in Vaccarino tramite Alfonso Tumbarello, il medico che ha aiutato Matteo Messina Denaro. C’è un’informativa della Procura di Palermo che traccia alcune vicende.

Il 24 marzo 2015 D’Amico aveva lasciato il carcere di Catanzaro. Gli erano stati concessi gli arresti domiciliari nella sua abitazione di Marsala. Motivi di salute e questioni di età.

Nel novembre 2016 Lombardo, dialogando con Vaccarino faceva riferimento ai fatti del 2015. L’ex sindaco confermava di essersi interessato alla questione del suocero.

Ritorno in carcere

Nel marzo 2017 il mafioso tornò in carcere prima a Trapani e poi a Parma. Già dal mese precedente Lombardo e Vaccarino tornarono a sentirsi e incontrarsi.

Il mese successivo Vaccarino organizzò un incontro fra Tumbarello e Lombardo. Lombardo faceva il resoconto a Vaccarino: “… sì va bene a posto, nel senso che ci siamo visti, abbiamo parlato, non è così semplice, poi le spiego”. “Interessante che ti ha accolto bene, la cosa importante è questa”, aggiungeva Vaccarino con una risposta in parte omissata.

Ancora più interessante la conversazione fra Vaccarino e Tumbarello. “Ci sono troppi che hanno bisogno di noi e non possiamo lasciarli”, diceva il primo. “E lo so, lo so”, confermava il secondo.

Chi è il boss all’ergastolo

Il 17 luglio 2018 l’ergastolano ottenne il nuovo trasferimento ai domiciliari a Marsala. C’è lo zampino di Vaccarino dietro la scarcerazione di D’Amico?

Arrestato nell’operazione “Omega” (gennaio 1996), il boss ultraottantenne fu poi condannato all’ergastolo. I suoi fratelli Vincenzo e Gaetano D’Amico erano al vertice della famiglia mafiosa fino all’inizio del 1992, quando furono uccisi nella “guerra” scatenata da Totò Riina.

Poi arrivò il pentimento di Antonio Patti a svelare numerosi omicidi. Trent’anni di sangue nel corso dei quali D’Amico ha avuto un ruolo chiave.


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