PALERMO – Nessuno l’ha mai convocata. È rimasta all’oscuro del processo davanti alla sezione per le Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Ora ha dimostrato che la casa confiscata non è della famiglia di don Tano Badalamenti, capomafia di Cinisi, e le è stata restituita.
La sentenza del Tribunale dà ragione a Gaetana D’Amore, 64 anni, assistita dagli avvocati Paolo Grillo e Giorgia Pizzi. “Il provvedimento del tribunale si segnala per un interessantissimo approfondimento scientifico sul problema della usucapibilità dei beni confiscati da parte del terzo in buona fede”, spiega l’avvocato Grillo.

È una storia che inizia nel 2000. Il Tribunale sequestra il patrimonio di Gaetano Badalamenti e dei suoi familiari. Nel 2008 arriva la confisca, che diviene irrevocabile nel 2016. Stessa cosa per la casa e il magazzino di Cinisi intestato al marito della sorella di Gaetano Badalamenti, Fara.
Un giorno si presentano a casa i rappresentanti dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati. Reclamano la casa e i magazzini al piano terra. D’Amore cade dalle nuvole e tira fuori un atto di compravendita della casa stipulato nel 1994.
Un anno prima aveva siglato il compromesso per i magazzini. In questo caso l’acquisto non si è concretizzato, nel frattempo D’Amore si è occupata della sanatoria – le irregolarità urbanistiche avevano impedito la definizione della compravendita – ha ristrutturato i magazzini e li ha inglobati in una parte della casa.
Il collegio, presieduto da Raffaele Malizia (relatore Luigi Petrucci) conferma l’omessa citazione nel giudizio della donna e ha revocato la confisca. Non è finita perché per i magazzini i legali ritengono che D’Amore li abbia ormai usucapiti. Sono in suo possesso ormai da anni. Su questo punto il Tribunale ha rimesso gli atti al giudice civile.
Si torna dunque a parlare dei beni dei Badalamenti, che tante polemiche hanno suscitato nell’ultimo periodo. Nel decreto di confisca ormai definitivo i giudici hanno scovato un errore. Era stata inserita la particella dell’immobile che oggi ospita “Casa Felicia” (dal nome della mamma di Peppino Impastato), che non è frutto dei soldi sporchi del capomafia, ormai deceduto, mandante dell’omicidio di Peppino. Una perizia ha fatto emergere che si tratta di beni donati a don Tano, e a titolo gratuito, dalla sorella Fara nel 1977.
In atto c’è un braccio di ferro fra il Comune di Cinisi e il figlio di don Tano, Leonardo Badalamenti.