Palermo, dallo sfincionaro al farmacista: mafia, livella del pizzo - Live Sicilia

Palermo, dallo sfincionaro al farmacista: mafia, livella del pizzo

Fra Brancaccio e Ciaculli viene fuori uno spaccato disarmante

PALERMO – In certi quartieri di Palermo la vera livella è il pizzo imposto dai mafiosi. Lo pagano tutti. Da poche decine di euro nel caso dello sfincionaro a 2.500 euro pagati dal titolare dell’azienda dei trasporti. Due rate a Pasqua e Natale.

L’ultimo spaccato delle estorsioni viene fuori dall’avviso di conclusione delle indagini notificato nei giorni scorsi dalla Procura di Palermo a boss e gregari che si muovevano fra Brancaccio e Ciaculli.

Pagano tutti e nessuno o quasi denuncia. Una quarantina di persone, fra piccoli imprenditori e commercianti, rischia l’incriminazione per favoreggiamento aggravato. Hanno continuato a negare di avere subito l’angheria mafiosa anche di fronte all’evidenza delle intercettazioni.

Scorrendo l’elenco si trova la conferma di quanto sia ancora diffuso il fenomeno del racket, nonostante grazie ai blitz delle forze dell’ordine finiscano ciclicamente in carcere mandanti ed estorsori. Si paga non solo per paura, ma anche per connivenza e vicinanza.

Nella mappa del racket sono finiti i rappresentanti delle più disparate categoria merceologiche: Distributori di bombole di gas, titolari di macellerie, salumieri, autodemolitori, proprietari di discoteche, bar e pizzerie, rivenditori di macchine, mangimi per animali e articoli per la casa, farmacisti.

Il clan di Ciaculli, che secondo la Dda era guidato da Giuseppe Greco, aveva un drappello di uomini del racket sempre in movimento. A coordinarli sarebbe stato Maurizio Di Fede. Le intercettazioni hanno smascherato la sua attività: “Cominciamo con i miei… così me li scrivo… quindi io ho questo, me li ha dati tutti per Natale, poi c’è quello delle bombole, poi c’è la polleria alla Sbannuta, l’assicurazione alla Roccella, poi… ti pare che è facile? Che me li ricorso tutti? Questo delle pedane prendilo questa volta… in palestra ci vai tu? Chi c’è poi, fammi pensare… da quello ci vado io…”.

La tassa di Cosa Nostra la dovevano pagare anche gli abusivi che vendevano le sigarette di contrabbando, lo stigghiolaro, il venditore di frittola e lo sfincionaro a cui, oltre alla richiesta di pizzo, rivolsero una critica: usava poco pomodoro. Il pizzo alla mafia lo pagava e in silenzio, ma di fronte alla critica nei confronti de suo lavoro trovò il coraggio di controbattere: “Non è vero, sono tutte fesserie”.


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