PALERMO – Lo spaccato che nel 2016 venne fuori dal blitz dei carabinieri del Ros era quello di una mafia che cercava di fare rispettare le vecchie regole di Cosa nostra. Nel mandamento palermitano di Villagrazia-Santa Maria di Gesù si erano organizzati ripartendo dal passato.
Tra gli arrestati, poi condannati, c’era anche Salvatore Di Blasi, oggi deceduto. I suoi beni, passati agli eredi, ora sono andati in confisca. Il blitz descrisse la difficoltà degli anziani boss di mettere in riga i giovavi, troppo spesso indisciplinati. Il tentativo di serrare i ranghi passava dal rispetto della tradizione.
Ogni uomo d’onore era tenuto a non svelare ad estranei la sua appartenenza a Cosa Nostra. Mariano Marchese, capomafia di Villagrazia, anch’egli oggi deceduto, mal digeriva che al suo cospetto si presentassero illustri sconosciuti. Ancora più grave era che fosse un altro anziano, Gregorio Agrigento, capomafia di San Giuseppe Jato, a peccare di superficialità. “Abbiamo il mandamento nelle mani noi altri…”, diceva le nuove leve. La reazione fu stizzita: “… fermati là… non lo voglio sapere… vai dallo zio Gregorio e gli dici quello che ti sto dicendo io… digli che la finisca…”.
Gli uomini d’onore andavano aiutati, anche da morti. Le spese del funerale erano a carico della famiglia. In occasione della morte di Gioacchino Capizzi, il figlio Pietro diede per scontato che gli sarebbero arrivati i soldi. L’anziano mafioso di Villagrazia, Vincenzo Adelfio, lo confortò e gli fece sapere che se ne sarebbe occupato Antonino Pipitone: “Mi viene Pietro da me e mi ha detto… ‘Zu Vicè mi dica una cosa…so dice… che quando muore uno un amico nostro… gli fate il funerale’… gli ho detto… vero è!… Gli ho detto… parlane con Nino…”. Alla fine fu Marchese a prelevare tremila e 400 euro dalla cassa.
I carcerati andavano sostenuti economicamente. Specie quando i parenti dovevano affrontare spese sanitarie. L’anziano boss ergastolano Benedetto Capizzi, raccontava Marchese, “dice che è caduto là… eh… sua moglie ha bisogno di soldi… è una miniera… è caduto ci vuole il busto… camurrie cose… qualche cosa in più… e si devono mandare alla moglie di Benedetto perché se no è vergogna… perché c’è qualche carceratieddu ed è giusto che uno ci deve pensare… dico non ci dobbiamo pensare spesso …ma dico che ci si deve pensare…”.
Quando un uomo d’onore subiva un torto guai a rivolgersi alla giustizia. Le denunce erano bandite. I panni sporchi si lavavano in famiglia. L’unica deroga era per i furti di auto. Meglio denunciarli per evitare guai più grossi. Ed esempio qualcuno avrebbe potuto usare la macchina di un mafioso per commettere un delitto.
Gli affiliati a Cosa nostra non potevano avere parentele con gli sbirri. Marchese raccontava a Vincenzo Adelfio un episodio degli anni Settanta quando “là nel portone gli abbiamo fatto la croce… ha fatto a sua figlia fidanzata con… un magistrato…”. Infine, bisognava avere rispetto della famiglia, quella di sangue. Innanzitutto, per le mogli. Ed invece “c’è gente che va appreso alla femmine dei carcerati”. Qualcuno aveva sedotto le mogli dei detenuti.