Palermo, mafia e scommesse: condannati gli uomini d'oro

Palermo, mafia e scommesse: condannati gli uomini d’oro

Più famiglie unite in nome degli affari

PALERMO – Il giudice per l’udienza preliminare di Palermo ha condannato a pene comprese tra 4 e 11 anni cinque dei sette imputati del processo su infiltrazioni mafiose nel settore delle scommesse sportive istruito dalla Dda. Tre le assoluzioni.

Le pene

Queste le pene inflitte dal Gup Elisabetta Stampacchia: 10 anni Salvatore Rubino, 11 anni Francesco Paolo Maniscalco, 9 anni Vincenzo Fiore, 4 anni Girolamo Di Marzo, 4 anni e 6 mesi Christian Tortora.

Scagionati Elio e Maurizio Camilleri, imputati per riciclaggio, difesi dagli avvocati Raffaele Bonsignore e Salvatore Agrò. Assolto pure Giovanni Castagnetta dall’accusa di intestazione fittizia di un’agenzia di scommesse (avvocati Salvatore Agrò e Alfonso Lucia).

Gli imputati rispondevano, a vario titolo, di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori aggravato dal favoreggiamento mafioso.

Il processo, celebrato in abbreviato, nasce da una indagine della Finanza che ha svelato gli interessi dei clan nel settore dei giochi e delle scommesse sportive ed ha svelato le complicità di alcuni imprenditori che avrebbero riciclato il denaro sporco per conto dei boss.

Le famiglie unite negli affari

La ricostruzione della Direzione distrettuale antimafia metteva al centro la figura di Francesco Paolo Maniscalco, 57 anni. Storia giudiziaria tormentata quella di Maniscalco. Di lui si iniziò a parlare nel 1991 quando un commando svuotò il caveau del Monte di Pietà, a Palermo. Bottino: oro e gioielli per 18 miliardi di lire, di cui nulla si è più saputo. Del commando faceva parte Maniscalco. Nella sua fedina penale c’è anche una condanna definitiva per mafia con il suo nome legato a quello di Totò Riina (che lo definiva “un ragazzo con le palle).

Dopo avere finito di scontare nel 2006 sei anni e otto mesi di carcere Maniscalco si era lanciato nel mondo degli affari: caffè, bar e agenzie di scommesse. (qui la suan storia e gli interessi economici lotano dalla Sicilia).

Cambiava continuamente i soci delle aziende, ne chiudeva alcune per aprirne poco dopo altre. Nel 2016 la nuova condanna per intestazione fittizia e il sequestro di beni, poi confiscati dal Tribunale per le Misure di prevenzione.

I due uomini d’oro

Maniscalco sarebbe stato il collettore degli interessi della mafia nel mondo delle scommesse. Il pentito di Belmonte Mezzagno Filippo Bisconti ha riferito di avere saputo da Paolo Calcagno, reggente del mandamento di Porta Nuova, che Maniscalco “si recava spesso a Roma per investimenti nel settore delle rosticcerie e ristorazione, ma anche in altri settori come in quello del gioco”.

Al business delle scommesse sono interessati, in maniera più o meno diretta, personaggi dei mandamenti mafiosi Porta Nuova, Pagliarelli, Brancaccio, Noce e Santa Maria di Gesù.

Altra figura chiave sarebbe Salvatore Rubino che per conto dei clan avrebbe riciclato il denaro. Era luis tesso a spiegare che i soldi investiti nel business delle scommesse “erano di altre persone e non suoi… i soldi che investiva con me”.

Gli inquirenti hanno ricostruito il modo in cui le cosche si infiltravano nell’economia “legale” controllando imprese, gestite occultamente da loro uomini di fiducia. Come Christian Tortora che, partecipando a bandi pubblici, avevano ottenuto le concessioni statali rilasciate dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la raccolta di giochi e scommesse sportive.

Le famiglie mafiose sono arrivate a gestire volumi di gioco per circa 100 milioni di euro.


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