PALERMO – “Non c’entro niente con l’omicidio, non mi rovino la vita così”, dice Alì El Abed Baguera durante l’interrogatorio. Nel cuore della scorsa notte il tunisino di 32 anni, accusato di essere l’assassino di Samir, viene condotto nella caserma che ospita il Comando provinciale di Palermo.
Risponde alle domande del pubblico ministero Vincenzo Amico. Nega con decisione l’accusa di avere impugnato un revolver per freddare il cameriere tunisino. Fa i nomi di coloro che, a suo dire, potrebbero confermare che nulla c’entra con l’efferato delitto di via Roma. Alì El Abed Baguera, fino al fermo per l’omicidio, era detenuto in regime di affidamento in prova. Sta scontando una condanna a quattro anni di carcere. Era arrivato a Lampedusa su un barcone pieno di migranti. Nel centro di accoglienza scoppiò una rivolta. Gli ospiti incendiarono alcuni materassi.
Da qui la condanna subita dal tunisino che, però, in carcere si è distinto per buona condotta e ha ottenuto l’affidamento in prova dal Tribunale di sorveglianza di Palermo. Ha il permesso di lavorare nel ristorante di un parente, in via Emerico Amari (di fronte c’è il locale dove lavorava la vittima) ma entro mezzanotte deve rientrare. Cosa che, dice, avrebbe fatto anche la notte del delitto. “Ho lavorato dalle 11 del mattino fino a quindici minuti prima della mezzanotte”, mette a verbale. Saluta tutti – indica i nomi dei colleghi presenti – e si avvia verso casa. Vive nella vicina via Benedetto Gravina, ospite della cugina e del marito.
Racconta di conoscere Samir. Fanno lo stesso lavoro, cercando di convincere i clienti nei ristoranti. “Nessun problema, nessuno screzio tra di noi”, aggiunge. “Secondo voi sto uscendo dai guai giudiziari e faccio una cosa del genere per rovinarmi la vita?“, spiega il tunisino in presenza del suo avvocato, Salvino Caputo. Si attende di conoscere il provvedimento di fermo dove, secondo i pubblici ministeri, ci sarebbero le prove, anche video, della sua colpevolezza.