PALERMO – Le mogli dei boss parlavano di un omicidio e ne hanno riportato alla mente un altro. Per il primo, l’assassinio di Giuseppe Di Giacomo, è in corso il processo. Per il secondo non è stato individuato il colpevole.
Alle 13:30 del 28 febbraio 2007 Gaspare Aruta sta raggiungendo la sua pescheria. In via Francesco Domenico Guerrazzi, alla Zisa, un killer fa fuoco. Indossa il casco integrale. Esplode sei colpi di pistola, di cui uno alla testa che non danno scampo alla vittima. Sale sulla moto guidata da un complice e si dileguano. È ora di punta, ci sono decine di persone in strada. Nessuno ha visto qualcosa. Resta un caso irrisolto.
La strada incrocia via Eugenio l’Emiro, ad una manciata di metri dal luogo dove nel 2014 è stato ammazzato il boss Giuseppe Di Giacomo. Le mogli e le figlie dei capimafia Francesco Arcuri e Gregorio Di Giovanni ne parlavano due anni fa. L’intercettazione eseguita dai carabinieri potrebbe entrare nel processo che vede Onofrio Lipari imputato per omicidio.
L’omicidio Aruta
“Quando ammazzarono a Gaspare Aruta, il pescivendolo, mio marito e tutti i cristiani compreso Franco u putiaru dice che aveva il casco nero che manco si vedeva con il sole”, così parlavano del killer di Aruta. La vittima abitava in via Regina Bianca, non lontano dal luogo dell’agguato, ed aveva precedenti per droga.
L’omicidio Dainotti
Le indagini hanno ipotizzato un regolamento di conti. La modalità ricorda gli omicidi di mafia. Il delitto è rimasto senza colpevoli, come lo è anche quello di Giuseppe Dainotti, altro boss di Porta Nuova freddato il 23 maggio 2017 in via D’Ossuna.
Alle 8 di mattina, mentre era in bicicletta, fu affiancato da uno o due uomini in sella ad uno scooter. Una sola telecamera inquadrava la strada. Ha immortalato la ruota di uno scooter Honda Sh che si allontanava in direzione del Papireto, per poi imboccare una delle prime traverse a sinistra. E si vedeva pure una scarpa da tennis.
Del killer i poliziotti della Squadra mobile potrebbero possedere il Dna. Sull’asfalto c’era una traccia di saliva mista a sangue che non appartengono alla vittima. Dainotti potrebbe avere pagato con la vita la voglia di tornare a comandare dopo anni di carcere.