PALERMO – I nomi dei mandanti – i boss della cupola di Cosa Nostra – sono noti. Non si conosce quello del killer. L’ultimo nome su cui si sono concentrate le indagini è quello di Nino Madonia. Un nome che, qualora si trovassero conferme, riporterebbe l’omicidio di Piersanti Mattarella interamente nel putrido contenitore di Cosa Nostra, abbandonando la pista del terrorismo nero.
Dopo 44 anni non c’è ancora una verità piena sul delitto di Piersanti Mattarella, fratello del Capo dello Stato Sergio, assassinato la mattina del 6 gennaio 1980 in via Libertà, a Palermo. La città oggi ricorda il presidente della Regione dalle “carte in regola” con la deposizione di una corona di fiori sulla lapide che ricorda l’eccidio. Sergio Mattarella dovrebbe partecipare ad una messa privata all’istituto Gonzaga per ripartire subito dopo per Roma.
Madonia, boss di Resuttana in carcere definitivamente e per sempre dal 1989, potrebbe essere il sicario dagli occhi di ghiaccio; mentre don Vito, ex sindaco mafioso di Palermo, era certamente il personaggio chiave del contesto politico-mafioso in cui sarebbe maturata la decisione di uccidere Mattarella. Ciancimino è morto nel 2002. Il suo nome ha fatto capolino nelle sentenze per gli omicidi politici (il segretario provinciale della Democrazia cristiana Michele Reina, Piersanti Mattarella, e il segretario regionale del Pci Pio La Torre), ma la sua responsabilità diretta non è stata accertata.
Di sicuro don Vito era l’interfaccia dei corleonesi. Mattarella, presidente “dalle carte in regola”, rappresentava un ostacolo per chi faceva soldi a palate con gli appalti e le concessioni edilizie che cementificarono Palermo. Potrebbe non essere stato casuale il depistaggio di Ciancimino che indirizzò le indagini verso le Brigate rosse. Proprio come fece per l’omicidio di La Torre mettendo in giro la teoria che bisognava guardare dentro il partito comunista.
Madonia è stato un killer spietato. Aveva la caratura criminale per sparare a Mattarella, appena salito in auto con la moglie, Irma Chiazzese, e i figli Bernardo e Maria. Stavano andando a messa. Per anni ha tenuto banco la pista nera, mai abbandonata nonostante l’assoluzione di Giusva Fioravanti, killer su cui aveva indagato Giovanni Falcone. Si è ipotizzato ad un certo punto che la pistola Colt Cobra che aveva sparato a Mattarella fosse stata usata anche per uccidere il 23 giugno successivo il giudice romano Mario Amato, che indagava sul terrorismo di estrema destra. La certezza non c’è e mai ci sarà. Dal punto di vista tecnico non è stato possibile trovare conferme.
Bisogna trovare le prove. Le suggestioni non servono per raggiungere la verità, ma restano agli atti. La vedova Mattarella riconobbe Fioravanti quando gli mostrarono la foto dell’esponente dei Nar. La Corte d’Assise d’appello di Palermo nella sentenza del 1998 sugli omicidi politici commessi anche da Nino Madonia lasciò traccia della somiglianza fisica tra il killer e Giusva Fioravanti.