PALERMO- Il boccascena di piazza Europa, in una sera di marzo, è una siepe di memorie, odorosa, come le chiazze di verde non metaforiche che emergono dalle cancellate. In cima alla scalinata del Teatro Sant’Eugenio, ecco la foto di Mario Pupella, immenso attore, Ulisse alla ricerca dell’Odissea perfetta, ricordo che brucia e spande il suo incenso, nonostante l’incidente della propria morte. Scendendo, vengono incontro Daniela e Lavinia, le figlie che, con la famiglia, portano sulle spalle l’eredità. Un modo di dire, solitamente: tuttavia fisicamente visibile, in questa storia. La stanchezza della separazione è tanta, come la voglia di andare avanti. Che è di più.
Piccoli attori crescono
Si scende, dunque, nella pancia del teatro. In fondo c’è la luce del palco, in mezzo ad arredi che riecheggiano vite rappresentate ieri, mentre nulla ancora sappiamo della fisionomia delle altre che verranno descritte con un milione di facce, suoni, mani e piedi. E ci sono i piccoli attori, richiamati qui dalla passione delle cose lette e sentite che vogliono approdare alle cose recitate.
Con Lavinia e Daniela, alcuni preziosi compagni di viaggio: Cristina Coltelli per la commedia dell’arte e Maria Elisabetta Trupiano per tecnica vocale e canto, presenti in platea (nella foto, da sinistra, con Lavinia e Daniela). La squadra è completata da Arabella Scalisi che insegna teatro-danza, Leonardo Campanella che si occupa di dizione, Iaia Corcione per il movimento corporeo e la danza, Luciano Falletta per la recitazione, Marco Pupella per la storia del teatro. Daniela e Lavinia hanno pure materie specifiche, nella loro veste di ‘tuttofare’. Sono loro, nell’insieme, che indirizzano quelle attrici e quegli attori sognanti, tra liceali e studenti medi, che affollano uno dei tanti incontri del progetto ‘Crescinteatro’, pensato per formare e incantare, fra studio e pratica. In città, la teatralità dei giovanissimi è un patrimonio, un fenomeno da narrare, suddiviso per vari cammini. Forse sono gli spaventi del presente a suggerire lo sbocco in una zona di fantasia e responsabilità.
Palermo, cara e perduta
Chi sono queste ragazze e questi ragazzi, illuminati, nel ritaglio di un viso, dalla penombra di una narrazione? Figli di Palermo, con la consapevolezza di un distacco venturo possibile, se non probabile. Sanno che la loro freschezza attecchirà spesso, almeno per diverse biografie, in altri luoghi, perché la siccità è una ferita complessiva, non solo la cronaca drammatica dell’acqua mancante al limitare dell’estate. La siccità, in questo caso, è una malinconia che si nega, con il trucco di trasformarla in scelta. “Io andrò via da Palermo”, dicono, ripetendosi. Ma tengono la libera volontà – beati i siciliani di mare aperto – negando l’ipotesi di un distacco che fa male, pensato o sperimentato, a sedici anni, come a quaranta.
E sono voci che vanno ascoltate. “Io scriverò perché sono già una scrittrice – prima voce – ma forse diventerò pure un’attrice comica. Imparo, ogni giorno da mio papà che è dolcissimo e comicissimo”. “Il mio progetto? – seconda voce – voglio essere felice…”. Tutti pensano che stare qui, adesso, in quel frangente impresso qualche giorno fa, sia comunque essenziale, con qualsiasi domani. Terza voce: “Il mio modello è Checco Zalone”. Quarta voce: “L’importante è interpretare un personaggio che nessuno scordi”. Parecchi immaginano uno scenografia lontana da dove sono nati. Quarta voce: “Non vorrei andare via, voglio fare questo mestiere, non so dove finirò. Dove mi porta il vento… Una cosa, anche se finisce, la porterò per sempre con me”.
Padri e figli
Sul palcoscenico del teatro venne composto Mario Pupella, dopo la sua dipartita, per la camera ardente. “Siamo qui specialmente per amore suo e per la passione che ci ha trasmesso – dicono Daniela e Lavinia -. In tutto quello che facciamo ci chiediamo prima cosa avrebbe fatto lui”. Lui recita in altri spazi vastissimi ormai. Dove un attore è morto, altri ne sanno nascendo. Vanno via, a poco a poco, le ragazze e i ragazzi di Palermo. Mamma e papà aspettano fuori. Altri sfrecciano autonomi, distaccandosi dai luoghi comuni che li vorrebbero pigri e superficiali, quando sono meravigliosi. Nello spettacolo dei padri e dei figli, il commiato, prima o poi, è certo e si impara a viverlo. Ma basta una sera di marzo, per ricordarsi che un sipario copre ciò che resta per sempre.