Palermo attraversa l’orrore, come se non bruciasse. Sa renderlo gelido alla stregua della sua indifferenza. Lo fa in parte, non del tutto e non con tutti. Per fortuna, sopravvive anche tanta bellezza, nell’opzione disponibile di un riscatto.
Ma una porzione inerte copre, con il silenzio, l’impegno del resto.
Palermo di una volta possedeva parole, lenzuoli appesi, spirito collettivo. Antidoti contro l’orrore. Si poneva davanti alle sue ferite con uno sguardo molteplice. Poi, arrivava la retorica più spesso della soluzione, o del discorso fruttuoso. Era già qualcosa.
E adesso? Esistono riflessioni condivise, luoghi in cui scambiarle, momenti di pensiero che abbiano la capacità di immaginare una prospettiva, in forma non minimale?
Osserviamo, piuttosto, una coltre di rassegnazione, intorno a esistenze declinate singolarmente. Ognuno vada col suo destino, con le sue cicatrici. E che i santi l’aiutino.
Le storie drammatiche, orribili, di cui occuparsi, purtroppo, non mancano. La scorsa settimana abbiamo raccontato – e vorremmo non averlo mai fatto – la violenza subita da una ragazza di tredici anni.
Eravamo già stati colpiti dallo stupro del Foro Italico (nella foto il cantiere, teatro dell’accaduto) che provocò una fiammata di indignazione, seguita, nei sottoscala palermitani, da una risacca di chiacchiericci morbosi.
Ogni giorno, i giovanissimi vengono catturati dalla droga, in piazze di spaccio fiorentissime e notissime. I dati sulla criminalità minorile sono significativi.
Quasi ogni notte porta con sé la notizia di una spaccata, di un accoltellamento, di una rissa, nelle zone del centro.
Ecco gli elementi di una deriva e poco importa che siano, numericamente, più o meno presenti che altrove. Ci appartengono. Ne vogliamo discutere davvero?
Palermo si sofferma poco, chiede repressione, pugno di ferro, secondo il copione consumato.
Tuttavia, in quella sua fazione rassegnata, scansa riflessioni scomode, impegni appassionati, discussioni costruttive che almeno darebbero il senso di uno specchio generale per specchiarsi, senza ipocrisie. Palermo non affronta più, da sveglia, il suo lato buio. Ostenta l’insensibilità, scambiandola per un pregio.
A lottare, a spendersi, dentro un angusto perimetro sociale, sono rimasti in pochi. Potremmo chiamarli i reduci della speranza. E si sentono sempre più soli.
Gli altri passano e vanno via. Voltano la faccia. L’orrore, per le anime imperturbabili, è diventato ‘normale’. Radi telegrammi di senso compiuto bucano una cappa di solitudini. Il distacco di Palermo da Palermo è, forse, la sconfitta più cocente.