PALERMO – Poteva essere una strage. Angelo Incardona ha ammazzato Lillo Saito, 65 anni, ma voleva uccidere anche i genitori. Davanti ai carabinieri e ai magistrati, che lo hanno interrogato nella caserma di Palma di Montechiaro, ha tirato fuori una storia di mafia, tutta da verificare. Il suo racconto è apparso poco credibile, addirittura strampalato in alcuni passaggi.
Incardona ha detto di essere un esponente del ‘paracco’ di Palma di Montechiaro, un clan mafioso parallelo a quelli di Cosa Nostra, guidato dalla famiglia Pace con cui sostiene di avere avuto vecchi dissapori per la contesa di un terreno.
Prima ha sparato ai genitori
La sequenza di morte inizia a casa dei genitori. Incardona ha sparato prima a suo padre e sua madre, Giuseppe Incardona e Maria Ingiamo, rispettivamente di 65 e 60 anni. Tre o quattro colpi che non hanno centrato il bersaglio. Sono stati feriti di striscio e trasportati in ospedale.
Perché ce l’aveva con loro? Sembrerebbe che nella sua mente era maturata la convinzione che i genitori lo giudicassero un poco di buono. In paese, così ha sostenuto, iniziava a circolare la voce che volesse diventare un collaboratore di giustizia.
L’incontro con la vittima in strada
Poco prima di rientrare a casa Incardona aveva incontrato Saito per strada, imprenditore e socio della “Gelati Gattopardo”. I loro sguardi si erano incrociati e l’assassino è convinto che la vittima gli avesse rivolto un gesto per fargli intendere che avrebbe fatto una brutta fine.
Incardona avrebbe collegato quel gesto alle parole che gli ripetevano spesso i genitori ed è con loro che ha scaricato per prima la sua rabbia. Poi è sceso in strada armato. Le notizie sono frammentarie. Non è chiaro se avesse iniziato una sorta di caccia all’uomo nei confronti di Saito oppure se lo ha incontrato casualmente.
Crivellato di colpi in macchina
Sta di fatto che quando lo ha visto dentro la sua Chevrolet Captiva posteggiata in piazza Provenzani, a poca distanza dal palazzo Ducale di Palma di Montechiaro, ha esploso una decina di colpi.
Dopo il raid l’assassino sarebbe stato convinto dalla moglie a costituirsi ai carabinieri e a confessare davanti al procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio e al sostituto Maria Barbara Cifalinò.
Il fascicolo d’inchiesta sull’omicidio e sul duplice tentato omicidio non è stato trasmesso alla Direzione distrettuale antimafia di Palermo competente per i reati di criminalità organizzata. Vuol dire che al momento il racconto che riconduce alla famiglia dei ‘paraccari’ non è ritenuto credibile.
Un racconto poco credibile
Di Incardona d’altra parte, già noto alle forze dell’ordine per tentato omicidio e porto abusivo e detenzione di armi, non c’è traccia nelle recenti inchieste per mafia. Circostanza, quest’ultima, che assieme ai passaggi confusionari del suo racconto fanno propendere gli investigatori, al momento, a non credergli. Incardona, però, sarà nuovamente sentito per capire se lo stato confusionale fosse dettato dalla concitazione dei momenti successi ad un delitto che, mafia o no, resta efferato.