13 Ottobre 2022, 15:15
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Una bara bianca. Lì, molto prima del tempo che immaginiamo, riposa Antonino Ortoleva, diciassette anni, ucciso vicino casa da un incidente stradale. Era una notte che odorava di felicità e di futuro, ma si è trasformata nel capolinea. Intorno, ci sono tantissimi che, a Partinico, si sono stretti al dolore di una famiglia. E ci sono ragazzi, gli amici, i compagni del liceo, che osservano, con fragile stupore, il commiato che non doveva esserci. Il dolore non fa meno male, quale che sia la stagione in cui si presenta. Gli addii in età avanzata hanno l’amarezza di chi vede rompersi ciò che, non per razionalità, ma per consuetudine, era abituato a considerare infrangibile. Le partenze, nell’inverno della vita, con un sottofondo di pioggia non sono meno crudeli.
Ma questa partenza, questo addio nello sfolgorio dell’estate dell’adolescenza, assume su di sé il peso ulteriore di una ingiustizia percepita. Troppo presto. E c’erano ancora partite di pallone da giocare e mani da tenere. E c’erano ancora corse sulla spiaggia. E c’erano spine e carezze da sperimentare. Così no. Antonino avrà sempre diciassette anni nella foto che illumina il suo bellissimo sorriso. I suoi compagni cresceranno, metteranno su famiglia, oppure, chissà… Lui rimarrà in mezzo al loro e avrà gli stessi lineamenti addolciti dei diciassettenni di ogni epoca.
E ci sono i ragazzi, dunque, che hanno affollato le esequie, nella Chiesa Madre che li ha accolti nel suo grembo con tutte le loro lacrime. I ragazzi che oggi hanno i selfie per raccontarsi, mentre prima c’era appena un diario. Ma loro – ragazze e ragazzi – conoscono la breve immortalità di un segmento irripetibile di esistenza. Adesso o tra cent’anni, saranno lo stesso miracolo da osservare per ricordarsi dei giorni in cui ognuno lo attraversava, senza accorgersene.
E c’è don Giuseppe Vasi che dice parole forti e amorevoli, celebrando la Messa. Non è facile, quando arrivi a tragedia consumata. Quando tutti guardano te per avere spiegato ciò che non si può spiegare. E c’è il messaggio paterno di monsignor Gualtiero Isacchi, arcivescovo di Monreale. Non sono espressioni di circostanza, descrivono il perimetro di un abbraccio: “(Dio) era lì, accanto ad Antonino, nostro figlio, fratello, amico. Ed ora è lì che lo tiene stretto tra le sue braccia per donargli pace e gioia piena”.
E’ impossibile da accettare. Lo gridano, in silenzio, le facce dei ragazzi, ammutoliti e inermi, davanti a quella bara bianca che sfila, mentre il cielo offre una tregua dalla pioggia. Ma, con un Paradiso disponibile o nella memoria umana, Antonino non morirà mai. Il lutto che spezza l’anima è un segno dell’amore a cui il ricordo resterà legato per sempre. Questa è la certezza. (Roberto Puglisi)
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13 Ottobre 2022, 15:15