PATERNO’. Per settimane hanno messo a ferro e fuoco la città appiccando incendi alle auto che erano parcheggiate sui bordi delle strade.
Una autentica escalation criminale che aveva creato allarme, tensione, preoccupazione. Falò di vetture in piena notte e sirene spiegate dei Vigili del Fuoco a sedare l’ennesimo e inspiegabile rogo. Tutto apparentemente senza una chiara ragione. Gli stessi titolari delle auto finite poco più che cenere stentavano a darsi una spiegazione.
I carabinieri della Compagnia di piazza della Regione avevano immediatamente attivato le proprie indagini. Alla fine, le auto incendiate sono state 14.
Quattordici auto in una manciata di giorni. Ma le fiamme hanno danneggiato anche le facciate delle abitazioni e rischiato che ci scappasse il morto: in una occasione, infatti, un’anziana donna ha rischiato di restare soffocata dal fumo. Per fortuna è stata salvata dai vicini di casa. La settimana scorsa, la conferma all’indagine iniziale consolidata lo scorso inizio marzo: in manette, incastrati dalle registrazioni delle telecamere e da alcuni messaggi vocali lasciati in chat, sono finiti il 20enne, Giuseppe Fiorello ed un minorenne (anch’egli paternese) di 17 anni.
LE INDAGINI. Giuseppe Fiorello e il minorenne finiti in gattabuia sarebbero stati traditi dai vestiti indossati nei vari raid di fuoco. Le telecamere hanno immortalato copricapi, cappellini, giubbotti e anche pantaloni che i due balordi avrebbero indossato mentre mettevano a ferro e fuoco Paternò. Indumenti sequestrati dai carabinieri che hanno analizzato frame dopo frame i filmati ripresi dai sistemi di video sorveglianza. I due indagati si sarebbero divertiti ad appiccare incendi e poi, quasi fosse un atto di cui vantarsi, propinavano agli amici messaggi inequivocabili su whatsapp inviando emoticon raffiguranti fiammelle di fuoco o pistole fumanti. Dalle carte della magistratura si può ricostruire il modus operandi dei due baby criminali. Prima forzavano la serratura dello sportello destro dell’auto che avevano scelto come bersaglio, poi entravano dentro e appiccavano l’incendio e infine se la davano a gambe levate guadagnando la fuga. In pochi giorni, per la precisione cinque notte, si sono registrati roghi a ripetizione. Tutti nel quartiere Scala Vecchia-Palazzolo di Paternò. I due indagati, difesi dall’avvocato Vittorio Lo Presti, hanno affrontato l’interrogatorio di garanzia e hanno ammesso davanti al Gip le azioni contestate.
VOGLIA DI FARSI NOTARE DAI BOSS. I due indagati avrebbero avuto voglia di farsi notare dai boss di Paternò. Ma non per farsi assoldare, ma per far capire che in città stava emergendo un nuovo gruppo criminale. Gli investigatori hanno analizzato rigo dopo rigo le chat acquisite dai telefonini. “Il Fiorello non mostrava alcuna motivazione se non quella di emergere nell’ambito della criminalità (organizzata) locale – scrive il Gip – forse per rimarcare l’eco della storica famiglia Fiorello (articolazione locale del clan Morabito-Stimoli-Fiorello, oggi solo Morabito-Stimoli) che operava a Paternò tra gli anni ’80 e ’90 e di cui il padre di Fiorello è stato uno dei maggiori esponenti”.
“CHIAMO SOLO A TE PATROZZO”. Per la magistratura i colloqui tra i due indagati non lasciano dubbi sulla volontà di Fiorello di “accreditarsi” con la mafia locale. È fine gennaio quando il minorenne dopo aver visto il telegiornale in cui si parla dei vari roghi appiccati la notte prima a Paternò invia un messaggio vocale su whatsapp al suo contatto “patrozzo do me core”, così è salvato il numero di cellulare del 20enne arrestato. “Io sta cosa a vogghiu fare con te criscio con te e caminare con te… (io questa cosa la voglio fare con te, crescere con te e stare a fianco a te, ndr)”, dice il minorenne. E ancora: “Io ho chiamato patrozzo puru cristiani chiù ranni, ma ora sto chiamando solo te patrozzo (ho chiamato padrino anche persone più grandi, ma ora sto chiamando solo te padrino, ndr)”. Fiorello risponde: “Io sugno to patrozzo, due semo e due ni muvemu… pichi l’atri su un pugno di sbirri e pentiti… nun tu scurdare ti fici giurare a me… t’associai cu me per sempre to patrozzo… (Io sono il tuo padrino, due siamo e in due ci muoviamo, perché gli altri sono un pugno di traditori. Non dimenticare che hai giurato… sei affiliato con me, per sempre il tuo padrino, ndr)”. E alla fine arriva il messaggio testuale del 17enne: “Clan Fiorello” e il suo cognome. Alla fine il 20enne spiega al minorenne – attraverso un messaggio – che se dovessero avere bisogno di complici, avrebbero ingaggiato alcune persone ma solo per le azioni criminali: avrebbero ‘lavorato’ per portare soldi a “loro” e nient’altro. Ma non ci sarebbero stati altri affiliati. I due imitavano i boss della mafia. Un ‘gioco’ pericoloso e violento che li ha portati dritti dritti dietro le sbarre.