PALERMO– Eccoli quelli che hanno un lavoro che pochi risoluti, al momento, vorrebbero scambiare. Sono loro che rischiano di più, con i colleghi degli ospedali. Ma sono loro che, spesso, arrivano per primi e non sanno cosa troveranno.
I ragazzi del 118 affrontano le giornate del Coronavirus con la paura che genera il coraggio, in un gioco di soprassalti di adrenalina a ripetizione. E le richieste di aiuto piovono senza sosta. Perché ce n’è bisogno. Perché la gente vive con il cuore in gola e non sa a chi rivolgersi. “Per un po’ di tempo – racconta Fabio Genco, direttore della centrale operativa di Palermo e Trapani – abbiamo ricevuto anche mille telefonate al giorno. Ora ci siamo stabilizzati sulle seicento-settecento”. Si sono stabilizzati.
Genco e la sua squadra dormono, quando possono dormire, con il telefonino accanto. Non c’è differenza tra giorno e notte, se le chiamate incalzano.
Lui racconta con pudore, parlando dei ‘suoi ragazzi’, non di se stesso: “I miei ragazzi hanno passione e professionalità. Certo che hanno pure paura, sono persone con le famiglie a casa. Il timore del contagio è comune a tutti. Da martedì, comunque, daremo inizio ai tamponi per tutto il personale. Abbiamo i dispositivi di sicurezza dati dalla Protezione Civile nazionale. Sappiamo che la Regione non può intervenire direttamente. Ci accontentiamo… cioè utilizziamo quello che abbiamo”.
Sembrerebbe un lapsus quell’’accontentarsi’ sfuggito dal giubbetto catarifrangente. “No, no – dice il dottore Genco che mai tradirebbe il suo riserbo istituzionale – riusciamo comunque a organizzarci. Il primo filtro lo facciamo in centrale. Se c’è un caso sospetto, con una forte crisi respiratoria, per esempio, mandiamo l’ambulanza con il medico a bordo. Chiaro – sospira – se avessimo qualche dispositivo in più… Però in questa zona non sentiamo particolari sofferenze. Un’ambulanza staziona a Villafrati, nella zona rossa, equipaggiatissima, pronta a intervenire in ogni momento. Ma lei non deve riferire di me. Il merito, non mi stancherò di ripeterlo, è dei miei collaboratori, della mia squadra, dei miei ragazzi. Sono loro che la vinceranno questa battaglia”.
Perché alla fine la vinceremo, vero dottore? “Sì. Può giurarci”.