PALERMO – Per ore, nel corso della direzione regionale del Partito democratico, sono stati accuratamente evitati due nomi: quello di Piero Grasso e quello di Rosario Crocetta. Non che i Dem non ne abbiano parlato, anzi. Nel primo caso, il riferimento, appena accennato, è spuntato anche nella relazione del segretario regionale Fausto Raciti. Nel caso del governatore, invece, si è più puntato a un generico accenno all’esecutivo regionale. A questi anni di governo. Nemmeno Beppe Lumia ha citato esplicitamente Saro.
La direzione: il Pd unito
È uno degli ingredienti irreali di una direzione regionale che non somigliava affatto a una classica riunione del Partito democratico. Nessuna divisione tra correnti, ieri. Nessun attacco incrociato. Nessun veleno. Tutti d’accordo. Sia sullo schema che sul centravanti. “Quella personalità di profilo nazionale”, diceva qualcuno. “Quel nome che non possiamo pronunciare”, gli faceva ecco qualcun un altro.
Una forma di rispetto per la carica istituzionale, avrebbero spiegato alcuni presenti alla direzione. Perché in effetti, Piero Grasso, oggi, è ancora il presidente del Senato. Con un ruolo che per natura è “super partes”. Anche se una parte, oggi, lo vuole con sé. Anzi, lo vuole a capo del progetto politico in vista delle prossime elezioni regionali.
Tutti vogliono Piero Grasso
Alla fine però, anche nel corso degli interventi il tabù è stato abbattuto: “Piero Grasso, Grasso, Grasso”. È il mantra che i Dem hanno iniziato a recitare quasi in maniera ipnotica, anche nella speranza, probabilmente, che i siciliani dimentichino il recentissimo passato. Quello in cui il Pd ha sostenuto prima Raffaele Lombardo (una circostanza dimenticata, ad esempio, da Antonello Cracolici che ha rivendicato i “passi avanti compiuti negli ultimi, mentre a Lombardo arrivò una lettera di Monti che parlava di fallimento della Regione”), poi Crocetta.
La rivalutazione di Crocetta
Quasi mai nominato, il governatore. E assente alla direzione di quello che è il suo partito. “Un partito – spiegava sempre Cracolici – che deve evitare la sindrome di Tafazzi. E non deve presentarsi ‘costipato’ alla campagna elettorale. Ma deve spiegare che con questo governo sono state fatte molte cose buone”. Sono lontani, insomma, i tempi delle “giunte dei camerieri” e del “si spengono le luci” sull’esperienza di Crocetta.
Il Pd da oggi è impegnato in questo duplice gioco, in vista dell’imminente campagna elettorale. Da un lato, quello di lavorare all’ipotesi Grasso, garanzia dal punto di vista mediatico e della storia personale, proponendo una idea di governo assai meno ‘disordinata’ di quella realizzata con Crocetta. Dall’altro, però, ecco lo sforzo di rivendicare persino i successi e i passi avanti di una legislatura ricca invece di flop, liti, rimpasti e scandali veri o presunti.
Modello Orlando e il gelo dei moderati
E così, l’ipotesi Grasso (sempre più concreta), viene accostata al “modello Orlando”. Nonostante lo stesso segretario Raciti rifiuti il riferimento a “modelli” e laboratori politici e nonostante qualcuno, come ad esempio la deputata regionale Valeria Sudano, abbia ricordato che il “modello Orlando” in realtà altro non è che la riedizione del “modello Bianco”. Orlando o Bianco che sia, il progetto attorno a Grasso si fonda sostanzialmente sulla creazione di una coalizione ampia. Larga, larghissima. È il grosso, Grasso matrimonio dei Dem. Che puntano a tirare dentro il progetto liste civiche e di sinistra, insieme a moderati di ogni tipo, alfaniani compresi che “per fortuna hanno cambiato quel nome che ci faceva venire l’orticaria”, ricorda Cracolici. Non più Nuovo centrodestra, ma poco cambia. Questi, i confini. Lo ha ribadito Raciti precisando che “non c’è alcuna intenzione di creare un raggruppamento che metta insieme forze inconciliabili: nessuna voglia, insomma, di creare un ‘blocco di sistema’ contro l’antisistema”. No a Forza Italia, insomma, qualora la battuta di Gianfranco Micciché (“Siamo pronti a sostenere Grasso”) fosse mai stata qualcosa di più che una battuta. Anche se i moderati che dovrebbero correre col Pd si sono già divisi: se gli alfaniani non hanno accolto con entusiasmo l’ipotesi-Grasso, anche dai Centristi di D’Alia ieri è arrivata la bacchettata al Pd: “Hanno deciso di non decidere. La collaborazione tra noi e loro non è più scontata” ha affondato il segretario regionale Adriano Frinchi.
Grasso, dubbi e timori
Comunque, se Grasso sarà, come sembra, il candidato, ecco sfumare anche per le Regionali, le primarie prima annunciate e poi riposte nel ripostiglio in occasione delle amministrative palermitane. Il tratto distintivo del Pd, richiamato a gran voce dal sottosegretario Davide Faraone – che ha preferito recarsi a Trapani a sostegno del candidato solitario Savona piuttosto che prendere parte alla direzione – secondo il quale, appena poche settimane fa, chiunque – anche Grasso – avesse voluto candidarsi, avrebbe dovuto passare dalla consultazione dei gazebo. Ipotesi archiviata, al momento. Perché tutti, ma proprio tutti vogliono Piero Grasso. Nonostante la speranza si tinga anche di dubbi e timori.
A cominciare proprio dalla possibilità che un nome come Grasso possa far dimenticare l’esperienza fallimentare del governo Crocetta. Che fallimentare non è, come detto, per alcuni big come Cracolici, mentre resta tale per altri esponenti dem come il catanese Berretta, esponente dell’area che fa capo ad Andrea Orlando. E ancora, tra le poltrone della direzione serpeggiava un altro dubbio: si può chiedere a un presidente del Senato di scendere dalla postazione del garante fin nella polvere della campagna elettorale? “In quel caso – sussurrava qualcuno – il Pd gli chiederà ovviamente di dimettersi dalla carica di presidente del Senato”.
E infine, il sì di Grasso passerebbe, pare, da alcune garanzie che verrebbero assicurate al candidato. A cominciare dalla composizione delle liste. Dove Grasso imporrebbe la presenza di candidati senza alcuna macchia, senza alcuna ombra, non solo di natura giudiziaria, ma anche politica. E le stesse garanzie Grasso chiederebbe per la composizione del suo esecutivo e anche sui programmi di governo, dove avrebbe carta bianca anche, eventualmente, in vista di scelte impopolari nei confronti di storiche sacche di precariato e clientelismo regionale. Ma per il matrimonio, oggi, manca ancora un sì. Quello del presidente. Il Pd, che al momento non sembra avere un ‘piano B’, nel frattempo, prova a dimenticare e far dimenticare Crocetta. O a spiegare ai siciliani che, tutto sommato, questi anni, in fondo, non sono stati da buttare.