Difficile sperare che i prossimi amministratori amino un po’ meno Palermo. Perché, ammettiamolo, questa città è piena sino all’inverosimile di gente che la ama alla follia. Un amore esagerato, fuori misura, diabolico, di quelli che soffocano l’oggetto d’amore. Sino al punto da farlo stramazzare a terra esanime, distrutto, dissanguato. Tante storie si concludono tragicamente proprio perché il soggetto che brama, in genere un uomo, ha trasformato la passione in possesso e presto è arrivato a un cortocircuito mentale in cui l’amata è stata alla fine trafitta senza pietà.
Questa è la condizione attuale di Palermo. Che, al contrario di una donna in carne e ossa, straziata da un amore folle, non è morta per sempre, ma è moribonda da tempo. Che, forse, è anche peggio. E, sia detto con il massimo rispetto per tutti gli attori in campo, non è che si vedano in giro tanti possibili esperti guaritori al suo capezzale. Sì, tanta gente animata da buone e pie intenzioni, sia a dritta che a manca. Ma, almeno sinora, sembra una marcia a scarpe chiodate verso la conquista del palazzo. Ognuno alza il suo pennone e raccoglie i fedeli-tifosi in marcia, indicando la via della salvezza. Lastricata, che ve lo dico a fare, da tanto sviscerato e veemente amore per il capoluogo siciliano.
Ma Palermo, come qualsiasi donna ferita e umiliata, ha più bisogno di rispetto che di un amore malato. E per rispettare occorre conoscere. E per conoscere bisogna studiare e capire. Dopo dieci anni di sostanziale deserto amministrativo e politico, del quale sarebbe davvero miope incolpare una sola persona, nessuno sa più cosa è Palermo e quale è la diagnosi e dunque la prognosi, di una possibile, complicata, a questo punto disperata, guarigione, visti i conti in profondo rosso. Purtroppo, a cento giorni dall’appuntamento elettorale, e già da almeno un anno, la quinta città d’Italia è al centro di uno scontro politico senza precedenti che ha diversi epicentri. Ecco cosa è diventata Palermo. Una comunità seppellita sotto un campo di battaglia che vede impegnate diverse fazioni armate di tutto punto, con i leader in testa e gli hooligans che scalpitano.
Squadroni pronti a tutto. Sempre per amore incondizionato, si capisce. Ma, si sa, quando si ama sconsideratamente anche le cose più importanti, soprattutto quelle, diventano secondarie. E ciò vale anche per il centrosinistra cittadino. Il quale, brucia tanto d’ardore per il proprio suolo natio, che in dieci lunghissimi anni non è riuscito a prepararsi in tempo per il ricambio. Pare che, da quelle parti, candidarsi alla poltrona di primo cittadino sia una cosa alla portata di tutti. Uno si alza la mattina e, invece del caffè e cornetto, ordina la poltrona più alta di Palazzo delle Aquile. Ora si dice che abbiano ritrovato l’unità. In realtà, il calumet della pace è la presa d’atto, la ratifica, di uno stato di guerra. Da quel momento in poi sono consentiti, senza più nascondersi, i colpi sotto la cintura. Più che una stretta di mano, un aggaddo in piena regola. Utile a far rientrare nei gazebo coloro che a un certo punto se ne erano scappati. Ma l’avevano fatto per amore, solo per amore.
Tanto trasporto, nel 2001, consegnò per due lustri la città, chiavi in mano, ai berlusconiani. Per farne quello che volevano. E, loro, amatori per eccellenza, insuperabili, come sappiamo, nel settore, ne hanno veramente fatto ciò che hanno voluto. E presumibilmente, mutate le bandiere ma non lo spirito, saranno in grado, viste le altrui palesi debolezze, di non smobilitare affatto e rifare bingo. Possono contare sul fatto che la maggioranza dei palermitani dimentica presto, quasi subito, non porta mai rancore. Basteranno pochi mesi al ventre molle della città, borghese e popolare, per resettare del tutto la memoria. Perché è lì che trovate coloro che amano Palermo più di tutti.