"Pesanti ombre su Antinoro | ma niente patto politico-mafioso" - Live Sicilia

“Pesanti ombre su Antinoro | ma niente patto politico-mafioso”

Le motivazioni della condanna
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Il dubbio di un possibile legame col boss Salvo Genova getta “una pesante ombra sulla personalità di Antinoro, screditandone l’immagine pubblica con un sospetto di disponibilità verso certi ambienti mafiosi, che va ben oltre il disvalore della condotta di corruzione elettorale accertata”. Si tratta di uno dei passaggi della motivazione della sentenza della terza sezione del tribunale di Palermo che a dicembre ha condannato a due anni e sei mesi l’eurodeputato del Pid Antonello Antinoro per corruzione elettorale. I giudici non hanno però ritenuto che ci fosse la prova dell’aggravante mafiosa e, inoltre, hanno riqualificato il reato di voto di scambio elettorale politico-mafioso, per cui la procura aveva chiesto la condanna del politico a 8 anni di carcere, in quello di corruzione elettorale.

Il Tribunale – si legge nella motivazione depositata oggi – ritiene, in definitiva, che l’ipotesi accusatoria contestata ad Antinoro, quella cioé di essersi reso protagonista di voto di scambio politico mafioso con esponenti del mandamento di Resuttana, non sia rimasta compiutamente dimostrata, e che dunque, tenendo conto della peculiare portata normativa del reato contestato, debba darsi al fatto compiutamente accertato, una definizione giuridica diversa da quella enunciata nel capo di imputazione”. Il collegio, dunque, ritiene provati gli incontri, avvenuti a marzo e aprile del 2008, prima dello svolgimento delle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea regionale e del Parlamento, tra Antinoro e alcune persone, all’epoca incensurate, ma sospettate di essere legate a Cosa nostra: Agostino Pizzuto, Antonino Caruso, e Vincenzo Troia. Come ritiene provato che per ottenere voti da loro il parlamentare “promise e poi pagò una somma compresa tra i 3000 e i 5000 euro”. Manca però la prova che l’imputato sapesse che i suoi interlocutori erano mafiosi di Resuttana e che, Troia, tra le persone presenti agli incontri, era in quel momento “reggente” della famiglia mafiosa di Pallavicino. Secondo il tribunale, presieduto da Fabrizio La Cascia, poi, non è stato provato che durante la riunione tra Antinoro e i suoi sostenitori elettorali si sia concordato un intervento di Cosa nostra nel procacciamento dei voti per il parlamentare: altro elemento che avrebbe potuto dimostrare la consapevolezza di Antinoro della caratura criminale dei soggetti con cui stava stringendo l’illecito patto elettorale. Nella sentenza, però, si smonta la tesi difensiva, definita “pretestuosa e preordinata”, secondo la quale il denaro sborsato dall’imputato sarebbe stato il compenso di un’attività di “attacchinaggio” fatta durante la campagna elettorale.


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