PALERMO – E’ stato “il più spietato degli aggressori” e per questo la pena deve essere esemplare: 16 anni di carcere per tentato omicidio, lesioni pluriaggravate con le ulteriori aggravanti della crudeltà e della discriminazione razziale. E’ la richiesta formulata dal pm della Procura di Palermo, Gianluca De Leo, nel processo che si svolge col rito abbreviato, di fronte al gup Vittorio Anania, ai danni di Vincenzo Di Giovanni, figlio del presunto boss mafioso Tommaso. Si tratta del pestaggio di due ragazzi di etnia Tamil nel quartiere della Zisa del 18 ottobre 2011 e che ha portato anche all’arresto di Mirko Rasa, Massimiliano D’Alba, Salvatore Savignano e Vincenzo Cilona che hanno scelto, invece, di andare al dibattimento.
Il pm De Leo ha ripercorso in aula le fasi delle indagini che hanno portato all’individuazione del branco che ha pestato, fino a ridurli in fin di vita, Naguleashworan Subramaniam e Mohanraj Yoganathan, mostrando la video intercettazione eseguita all’interno del commissariato Zisa in cui Vincenzo Di Giovanni mima l’aggressione e gli audio delle chiamate dei passanti alla polizia e al 118. Inoltre sono state mostrate le fotografie delle ferite riportate dalle due vittime che, trattandosi di immagini particolarmente cruente, si preferisce non pubblicare.
Vincenzo Di Giovanni, nell’arco del processo, ha provato a fare parziali ammissioni nel tentativo, secondo l’accusa, di scagionare gli altri imputati aggravando ulteriormente la sua posizione. Di Giovanni, infatti, ha parlato di molestie nei confronti della sua fidanzata, tale Michel, di cui si sarebbero resi protagonisti le due vittime. Ma di questa donna, ha sottolineato il pm, non c’è traccia né, tanto meno, è stata chiamata a testimoniare. Alla stessa maniera, Di Giovanni ha sostenuto di aver aggredito i due extracomunitari in solitaria, con due caschi in mano. Ma le testimonianze, nonché i documenti audio, hanno concordato che il branco fosse composto da almeno una decina di persone. A Di Giovanni, così, potrebbe essere ulteriormente contestato il reato di calunnia.
Intanto, però, la vita di uno dei due ragazzi è cambiata per sempre a causa dei danni cerebrali riportati in seguito al pestaggio. Prima si occupava di riparare computer e componenti elettronici, oggi è tornato nel suo paese e non è più capace di compiere azioni elementari. Mentre un altro suo connazionale, per via della testimonianza resa nelle indagini, è stato inserito nel programma di protezione e adesso vive in una località segreta.
Le due vittime, costituitesi parte civile, sono state rappresentate da Francesco Crescimanno che ha ricordato alla corte la storia del quartiere Zisa e dell’esempio di integrazione che ha rappresentato nell’arco di tutta la storia di Palermo. Il processo è stato rinviato al prossimo 18 dicembre quando sarà la volta dell’arringa difensiva. La sentenza è prevista nella stessa giornata.