PALERMO – Tra pizzo e droga di soldi a Porta Nuova ne giravano parecchi. Tutto il denaro finiva nelle mani di Alessandro D’Ambrogio. Sarebbe stato il capo in prima persona a gestire la cassa del mandamento e il libro mastro delle estorsioni. Un libro su cui si concentra il lavoro dei carabinieri del Nucleo investigativo che adesso hanno il difficile compito di ricostruire la mappa del racket di cui si fa cenno in diverse conversazioni intercettate.
Il 12 maggio 2013 le microspie piazzate nell’agenzia funebre di via Majali a Ballarò registrano la conversazione fra D’Ambrogio e uno dei suoi più fidati collaboratori, Antonino Seranella. “… ora quello Giuseppe (si tratterebbe di Giuseppe Di Maio, l’unico tornato libero perché il fermo non è stato convalidato ndr ) ne deve portare altri due… anzi tre, dice che ne ha cinque fuori”, spiegava Seranella a un D’Ambrogio lesto a fare i conti: “… sì, allora… cinquanta… dieci a te!”. “… e dieci tu! Dieci…”, confermava il suo braccio destro. Cinquantamila era la cifra complessiva, da cui andavano detratti 10 mila euro ciascuno che i due interlocutori dovevano mettersi in tasca.
Il resto della conversazione è un susseguirsi di cifre. D’Ambrogio: “… allora, guarda… allora… erano venticinque… sei glieli abbiamo dati e ne rimangono diciannove, tre ce li hai tu, tre te li sei presi tu””. Seranella: “… che c’entra questi quelli di ottobre sono… io ti ho dato questi soldi di qua Alessandro… novemila euro… poi gli ho dato duemila e cinque… con diciassette e cinque si dovrebbe accordare”.
Da dove arrivava il denaro? Seranella aveva preso accordi con una terza persona per riscuotere dei soldi nei giorni successivi: “… domani ci parliamo insieme, lui però mi ha detto a me, ringraziando a me prendo i soldi e ve li do direttamente… aspettiamo una settimana… dico Alessandro, fino a ieri sera Alessandro, la settimana che entra, dice…”. D’Ambrogio, però i soldi li voleva tutti e subito: “… non possiamo aspettare, forse sono arabo?.. aspettare sei mesi le persone?”.
Chissà se anche il nome del debitore in questione fosse inserito nel libro mastro di cui si parla nel corso del colloquio in carcere fra l’anziano Antonino Ciresi, arrestato con l’accusa di essere l’esattore del clan, e la figlia Santa. Il colloquio è considerato decisivo per conoscere le dinamiche del mandamento mafioso. La figlia, su indicazione di D’Ambrogio, chiamato spesso “u nicu”, chiedeva al padre chi fossero alcuni personaggi scritti sul libro mastro.
“Era evidente che in prossimità delle festività pasquali gli affiliati stessero provvedendo alla raccolta dei proventi delle messe a posto”, scrivono gli investigatori: “…la torta gelato dove la deve andare a comprare … non capisce gelato chi è… è scritto da te … Gelato … u nicu vuole sapere il gelato e Buffa … Bumba … Buffa chi sono… nella lista di quelli che tu devi andare a… lui basta che ti dice qua è …”. Dopo un accenno di risposta del padre, “… lui non riesce a capire… siccome la scrittura è sua… la torta gelato dove me la devo andare a comprare… e poi un’altra cosa papà. Mi ha detto a me oltre ai 500 nella cassa niente c’è? Tu hai fatto raccolta …”, lo zio Nino precisava: “No non ho raccolto niente … ho mandato a dire io … tuo fratello niente ci ha detto?”.
Una parte dei soldi sarebbero serviti per un acquisto particolare. Ciresi: “… gli ho mandato a dire con tuo fratello… e allora… io avevo un 1.500 e un 1.000… 2.500… 1.700 li ha usciti… 500 li ho dati a quello… e 1.200 per quella cosa ci dici che tu sai (con la mano sinistra mima l’atto di sparare muovendo ad intermittenza l’indice per indicare il grilletto)… e sono 1.700 e ci sono rimasti 800 euro… ce l’ho mandato a dire”.