PALERMO – Tutti assolti al processo per il crollo di una palazzina in corso Calatafimi. Era il 2004 quando venne giù l’edificio che si affaccia sull’incrocio con viale Regione Siciliana.
Cinque operai della ditta che stava eseguendo la ristrutturazione restarono intrappolati sotto le macerie. Salvatore Pillitteri e Roberto Contorno ebbero le conseguenze peggiori e soffrono ancora per le conseguenze dei traumi e delle fratture.
Sotto processo con l’accusa di disastro colposo c’erano Luigi, Teresa e Marcello Di Fresco, proprietari dell’immobile che ospitava allora una banca, difesi dall’avvocato Massimo Motisi; Santo Monte e Francesco Fanale, titolari rispettivamente di un’impresa edile e di una ditta di demolizione, assistiti dagli avvocati Giuseppe Di Stefano, Giancarlo Bonfanti e Nino Zanghi.
Anche due impiegati dell’istituto di credito rimasero leggermente feriti. Secondo la Procura, i lavori non erano stati eseguiti a regola d’arte e non erano state rispettate le norme per la sicurezza. Ipotesi che non hanno retto al vaglio del Tribunale. È stata una perizia della difesa a fare emergere che a causare il crollo dell’edificio al civico 691 – piano terra e primo piano – furono “carenze progettuali e strutturali originarie”. Era stato costruito, secondo la difesa, con cemento scadente e sulla base di progetti difettosi.
Nella palazzina di corso Calatafimi ad angolo con via Pollaci si rischiò la tragedia. Non solo perché al momento del crollo gli operai erano al lavoro, ma anche perché negli anni la palazzina ha ospitato prima un cinema, poi una scuola, un alloggio per sfollati e infine una banca.
Nel corso del processo è emerso che i vigili del fuoco avevano rilevato le carenze strutturali, solo che la nota degli esperti non fu mai trasmessa ai proprietari. Che si attivarono lo stesso per ristrutturare la palazzina. Non fecero in tempo, però, ad evitare il crollo favorito, forse, dai temporali che in quei giorni si abbatterono sulla città.
Oggi il Tribunale ha assolto tutti gli imputati con la formula perché il fatto non sussiste, nonostante il pubblico ministero avesse richiesto condanne fino a tre anni di carcere.