SIRACUSA – “Una scelta illuminata quella di chiudere il viadotto e costruire una bretella laterale per il traffico in entrata e in uscita”. C’è una storia confortante, di ordinaria amministrazione che diventa straordinaria in epoca di ponti che crollano, che arriva da Siracusa. Nella città aretusea c’è un viadotto importante, unica via d’uscita a Nord del centro abitato, classificata come via di fuga: è il viadotto di Targia che da Scala Greca si affaccia sulla zona industriale.
Costruito alla fine degli anni 60 tra il 2013 e il 2015, a seguito di una perizia che ne sancì la necessità di un recupero strutturale, è stato dapprima limitato nell’utilizzo (solo veicoli in uscita con inibizione dei mezzi pesanti) e poi chiuso. Tra le due decisioni, vista l’importanza strategica della struttura, fu redatto, e in conferenza di servizi approvato, un progetto di consolidamento. Passò nelle mani del dipartimento regionale di Protezione civile per il finanziamento. Che non arrivò: ancora oggi l’opera è nell’elenco di quelle cantierabili, ma non finanziate. Eppure c’era fretta: il ponte si ammalorava e il traffico di mezzi pesanti non poteva essere dirottato a lungo altrove. E poi la necessità di ripristinare una via di fuga.
Il puntiglio dei tecnici (“Il ponte è degradato”) e la solerzia dell’amministrazione comunale guidata a suo tempo dal sindaco Giancarlo Garozzo, sfociarono in una decisione: costruire in fretta una bretella laterale sulla vecchia strada. Tra le polemiche, un gesto di ordinaria amministrazione della cosa pubblica che oggi acquista significato. E che per gli stessi protagonisti (tanto l’allora dirigente del settore Inconvenienti statici Michele Dell’Aira, quanto l’ex ingegnere capo Natale Borgione) fu: “Una scelta illuminata”. Per Dell’Aira, quasi sottovoce senza cercare medaglie, ma ripercorrendo nel dettaglio fatti e perizie: “Una vicenda affrontata in maniera corretta”. Dalla relazione dell’ultimo sopralluogo sul viadotto prima del progetto: “Tutta la struttura di sostegno del viadotto risulta affetta da rilevanti problemi di corrosione delle armature resistenti e da ammaloramenti generalizzati (…) con maggiore evidenza in corrispondenza degli elementi più sollecitati dal carico statico e dinamico, presso i quali si rilevano i più gravi problemi di stabilità: i piloni e l’impalcato che sorregge la carreggiata stradale”.
Al netto dei tecnicismi si comprende la necessità di interventi di recupero. Sentenziati anche con l’opportunità di prevenire “un crollo parziale o totale, con le catastrofiche conseguenze che si possono immaginare”. L’allora ingegnere capo, Natale Borgione, oggi esalta anche la scelta parallela di costruire una bretella di fianco al viadotto, che dal 2015 ne fa le veci: “Il mio pensiero dopo il crollo di Genova – dice – è stato proprio questo: quella amministrazione ha preso il toro per le corna e agito con lungimiranza e coscienza. Non la chiamerei più nemmeno bretella – dice riferito alla strada realizzata – perché vale dieci volte il ponte che sarebbe venuto fuori dalla eventuale ristrutturazione: necessita di manutenzione molto meno dispendiosa. Una scelta brillante”.
Costò 1 milione e per realizzarla l’amministrazione stornò somme da un progetto già avviato ma che, ritenne, potesse attendere: la nuova caserma dei vigili urbani. Per Borgione se dovessero arrivare i soldi dalla Regione andrebbero dirottati altrove: “La bretella va benissimo, il ponte andrebbe demolito”. Invece per Dell’Aira, sarebbe semmai un problema di rimodulazione delle somme: “Se dovessero arrivare i soldi il progetto andrebbe rimodulato con aumento dei costi fisiologici”.
Il ponte è comunque chiuso in uno stato di fatiscenza visibile, mentre la bretella assorbe tutto il traffico, anche dei mezzi pesanti per sostenere i quali è stata ideata. E un pericolo evidente è stato evitato.