Questa che noi chiamiamo solidarietà è il presupposto delle stragi di migranti. Ne moriranno ancora. Annegheranno. Saranno stipati come schiavi in carrette-prigioni. Subiranno il martirio per il torto di essere cristiani. Spalanchiamo le braccia a tutti, non importa se le mani restano sporche di sangue.
Questa che noi chiamiamo accoglienza è l’ipocrisia delle braccia aperte e delle mani macchiate. E’ la libertà teorica che fomenta la tratta continua. Appare chiaro ormai, oltre ogni possibile controprova. Vanno. Vengono. Muoiono. La disperazione si alimenta grazie a una speranza insostenibile. E gli scafisti lo sanno. Conoscono i nostri punti deboli. Hanno ben compreso che potranno continuare a sospingere l’umanità dolente che li arricchisce verso le nostre coste. Alcuni saranno salvati. Altri periranno. Nessuno si pone il problema di chi muore e di chi sopravvive. Vale di più lo smercio, il denaro sonante, il tesoro accumulato sotto la bandiera del cinismo solidale che si rispecchia in parole circondate di cadaveri.
Parole vuote, senza il dolore dei corpi, senza la luce degli sguardi di chi va a morire nel nome del migrante collettivo. Parole nude di commozione, prive dell’esattezza della sciagura. Parole che si rincorrono nei comunicati stampa che piantano la bandierina della demagogia, leggere, superficiali. Le parole del presidente della Camera, Laura Boldrini, sulla storia del presunto (a indagini in corso) sacrificio umano di cristiani sul barcone dell’orrore. “Nelle imbarcazioni che trasportano i migranti ci sono sempre livelli di sopraffazione, persone che cercano di avere la meglio sulle altre. Non credo che queste persone abbiano fatto una discussione teologica a bordo”.
No, Signora, non discutevano di teologia. Quegli uomini invocavano Dio. Dove è finito il pianto che non sia retorica? Dov’è il sentimento della misura colma? Quanti altri dovranno spegnersi ancora, con una preghiera sulle labbra? Non c’è più una lacrima da spendere, c’è una contabilità da aggiornare; una tombola di numerini estratti che hanno smarrito ogni sembianza di umanità. E la chiamiamo accoglienza.
In mezzo al mare, tra parole e viltà – tra chi vuole comunque chiudere e chi pensa che sia giusto comunque aprire, mentre nessuno si attiva per ragionare sulle soluzioni – si dissolvono volti che non conosceremo, biografie che non ci apparterranno mai, che non accederanno a un livello minimo di relazioni con chi sta nella cerchia dei garantiti.
Solo un Papa che sa cosa davvero significhi viaggiare da un altro mondo possiede il copyright delle frasi sensate: “Sono uomini e donne come noi – ha sussurrato nel chiasso Francesco – fratelli nostri in cerca di una vita migliore, affamati, perseguitati, sfruttati, feriti, vittime di guerre. Cercavano la felicità”. Hanno trovato la nostra solidarietà sanguinaria, la lontananza delle braccia spalancate, l’assenza di chi non conosce i nomi del migrante collettivo annegato. Loro sono gli innocenti. Noi siamo i cinici, i finti buoni, gli indifferenti. Sulla nostra finta bontà, sulla nostra indifferenza, i trafficanti hanno costruito il loro impero di sangue e di morte, di orrore e terrore.