Cos’è, un’eterna maledizione? Una mostruosa congiura del Fato tesa ad impedire alla Sicilia di affrancarsi dalle catene della mala politica, dai lacci del clientelismo, dal veleno mafioso che inquina da sempre la cosiddetta società civile e i palazzi del potere politico ed economico? Ormai lo penso convintamente: sì, la Sicilia è una terra maledetta in cui, a parte i luoghi del mondo imbarbariti da guerre, schiavitù e fame, è una vera sfortuna nascere.
Pessimismo di bassa lega il mio? Disfattismo? Rassegnazione? No, ma guardiamo a quanto sta accadendo in vista delle elezioni regionali del 25 settembre. C’è da entusiasmarsi? Chi si è rifugiato nell’astensione ha finalmente motivi per precipitarsi ai seggi? I siciliani che hanno votato per convenienza contribuendo a foraggiare interessi privati e politicanti di vario colore potranno improvvisamente redimersi? No, ogni appuntamento elettorale, diciamolo francamente, è piuttosto occasione per replicare le logore e stantie liturgie dei partiti e dei loro capi bastone; è palcoscenico di periferia nel quale si muovono burattinai e burattini ben conosciuti; è tetro scenario di gesta poco nobili stampati pure su atti processuali, di amicizie discutibili e, nella migliore delle ipotesi, di disinvolti cambi di casacca, posizionamenti e fronti di appartenenza da turbare chiunque conosca il significato della parola “dignità”.
Sì, la Sicilia è maledetta, nessuno ha il coraggio di gridarlo ma basta assistere al desolante emigrare di migliaia di giovani verso il Nord o terre lontane. Triste per noi nonni e genitori che rimaniamo, loro no, non vedono l’ora di scappare. E i ragazzi che hanno deciso di restare? Quelli che si sono sacrificati sui libri o nelle officine del saper fare odiando raccomandazioni e favoritismi? Sanno che qui in casa li attende un’enorme montagna da scalare, un reticolato di filo spinato da superare per potere affermare meriti e diritti. Hanno torto i primi a fuggire e i secondi a temere?
No, non hanno torto. Non hanno torto se chi ha avuto o ha vicende giudiziarie (anche gravi) indipendentemente dall’esito – non sempre ciò che non ha rilievo penale è eticamente accettabile – te lo ritrovi puntualmente e spudoratamente lì, in prima linea, come candidato o regista. Non hanno torto se chi era guelfo ora è sfrontatamente candidato con i ghibellini senza lasciare incarichi e prebende ottenuti in virtù della precedente collocazione. Non hanno torto se i partiti non riescono a rinnovarsi, anzi, ti propongono minestre riscaldate spacciate per esclusivi piatti di alta cucina. Non hanno torto se costretti, ogni volta, ad assistere al disgustoso spettacolo di liti e tradimenti per spartirsi poltrone, poltroncine e sgabelli della vasta platea del potere, appannaggio sovente, lo rivelano i fatti, di chi è capace di calpestare idee e valori in cambio di un posto al sole ben remunerato.
Poi, magari leggi il cognome di una candidata alla presidenza della Regione Siciliana, un cognome importante, di uno dei mille eroi normali massacrato dalla mafia perché voleva una Sicilia libera dall’oppressione mafiosa che ha distrutto vite, speranze e risorse, e pensi possa essere una via d’uscita. Invece, rischia suo malgrado di ridursi all’illusione di un momento. Questa rispettabilissima candidata non la vedi, non la senti, non la immagini smuovere quegli astensionisti incalliti di cui sopra, tanto meno gli elettori di convenienza o di pancia che continueranno a votare il peggio pur di conquistare un tornaconto personale. Per giunta i partiti che dovrebbero sostenerla, al di là delle diatribe romane, litigano a poche settimane dal voto intorno alla strategica questione se il suo nome debba apparire o no sui simboli. Mamma mia che statisti! Sono in tempo per cambiare idea? Forse. Fino ad allora per me la Sicilia è terra maledetta.