PALERMO – Era il 28 febbraio di un anno fa quando Maurizio Zamparini riceveva l’omaggio della politica siciliana. E che politica poi, quella “rottamatrice” dei renziani di Sicilia, che a Palermo si stringevano attorno al loro leader Davide Faraone per la loro ridotta della Leopolda. Tra innovatori della prima ora, transfughi e vecchi arnesi con ambizioni di riciclo, fece la sua comparsa anche il vulcanico patron rosanero, scelto come un modello di imprenditore illuminato del Nord sceso in Sicilia per arricchire l’Isola. E che modello, viene da pensare oggi, un anno dopo, di fronte allo spettacolo farsesco che oggi più che mai offre di sé la società di viale del Fante. Quel giorno all’ex fabbrica Sandron, Zamparini portò la sua “testimonianza di imprenditore”, raccontando anzi tutto di un suo pranzo con Matteo Renzi, all’epoca sindaco di Firenze. L’uditorio renziano, immortalato nei video, ascoltava rapito in religioso silenzio, tributandogli applausi quando il presidente raccontava delle vessazioni subite dagli imprenditori italiani da un fisco rapace.
D’altro canto non fu quello il primo incrocio di Zamparini con la politica. Qualche anno prima il presidente del Palermo aveva accennato alla discesa in campo battezzando il suo “Movimento per la gente”. “Non abbiamo ancora deciso chi appoggiare. Daremo l’appoggio a una nuova destra, a una nuova sinistra, a un movimento nuovo, forse a Grillo se si fa riempire di contenuti”, spiegava all’epoca Zamparini, che in politica riproponeva la sua tendenza all’indecisione ben nota ai tifosi (e agli allenatori) del Palermo. Un progetto che si perse per strada in tempi brevi, non senza il pepe di qualche divorzio e di qualche polemica.
I cavalli di battaglia del movimento politico di Zamparini, quelli della resistenza contro il fisco opprimente e della rivendicazione di spazi e attenzione per l’impresa, riecheggiarono nel suo pacato intervento a “Sicilia 2.0”, tra gli applausi. Di quella politica che in Sicilia da sempre si affatica a cercare modelli presentabili di imprenditoria da sposare e mettere sul piedistallo. Una ricerca spesso costellata da delusioni. Basti pensare appunto alle tragicomiche in cui s’è andato a cacciare in questa sventurata stagione il Palermo di Zamparini, con i suoi sette o otto allenatori cambiati e il contorno di litigate e baruffe a mezzo stampa: un disastro oltre ogni aspettativa.
Il rapporto tra politica e impresa in Sicilia presenta un bilancio infelice. I “campioni” dell’impresa corteggiati dalla politica hanno conosciuto alterne vicende, e per tutti basterà citare il ruolo che la Confindustria siciliana ha svolto nella politica siciliana negli ultimi anni, rivendicando spesso misure in favore dello sviluppo ma portando a casa risultati ben modesti in questo senso, al netto del presidio di qualche ganglio strategico di potere. E già nella precedente legislatura, ai tempi di Raffaele Lombardo, finì in un divorzio traumatico con polemiche velenosissime l’esperienza in giunta degli imprenditori chiamati al governo dal presidente di Grammichele. I renziani, a modo loro, avevano pescato la carta di Zamparini, anche se solo nelle vesti di ospite. Ma il caos non sempre genera ordine, spesso s’incarta nelle sue stesse inconcludenti bizze, con esiti nefasti. Come al Palermo calcio. O magari, come nel Pd renziano.