CATANIA – Fuori dal teatro c’è parcheggiata la “Quarto Savona 15” accartocciata, l’auto cioè che trasportava gli uomini della scorta del giudice Giovanni Falcone e della moglie Francesco Morvillo quel maledetto 23 maggio. Dal palco si parla invece di contrasto all’ecomafia e di traffico illecito di rifiuti. In mezzo ci sono i trent’anni di storia della Direzione investigativa antimafia, una della intuizioni più efficaci del magistrato ucciso a Capaci dai soldati di Totò Riina. Per il direttore Maurizio Vallone, l’occasione dell’anniversario serve a far conoscere una dell’eccellenze investigative italiane. La tappa catanese rientra infatti in un più ampio calendario di incontri pensato per sezionare lo stato di salute della criminalità organizzata oggi, e non soltanto quella siciliana.
Il presidente della Regione
Mentre si aprono i lavori al Massimo, arriva il messaggio del presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci: “Il percorso dell’Antimafia in Sicilia, spesso controverso e travagliato, più e oltre che attraverso gli oggetti, le immagini e i documenti custoditi nelle teche è sempre attuale monito per tutti i siciliani, affinché mai si abbassi la guardia sul fenomeno mafioso, ancora vivo e pronto ad aggredire l’economia, la Pubblica amministrazione, la società, le nostre stesse vite”.
Ed proprio di questo che si è parlato. Ad aprire i lavori ci sono Maurizio Vallone, il giornalista Felice Cavallaro e il sindaco di Catania Salvo Pogliese. Quest’ultimo ricorda: “Nel 1991 avevo 19anni, ho vissuto l’estate torrida del ’92. La stagione delle stragi è riuscita a sviluppare uno spirito di rivolta trasversale. Se oggi possiamo respirare un’area diversa, lo dobbiamo alla Dia e alle forza dell’ordine – continua Pogliese – Non bisogna abbassare la guardia, perché la mafia si è trasformata. Oggi la Sicilia è diversa e dobbiamo consegnarla ai nostri figli sempre più bella”.
Rifiuti e mafie
La trasformazione delle mafie passa appunto dai rifiuti, un capitolo peraltro assai farraginoso dell’agenda siciliana. Lo sa perfettamente il capo del II reparto della Dia, Lorena Di Galante, che ha parlato di una “nuova mafia che, di fatto, non nuova non lo è più”. Con un ragionamento dichiaratamente pasoliniano (“Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi”), il giornalista Mario Barresi si lascia andare a un calcolo aritmetico molto semplice: “Meno raccolta differenziata è uguale a più margini di guadagno per le discariche per lo più private”. Nel frattempo, però, “gli impianti pubblici sono fermi e, non si capisce perché, – spiega – in questi quattro anni non siano stati fatti passi in avanti”.
Agata Santonocito, procuratore aggiunto a Catania con una lunga esperienza sul fronte del contrasto alle mafie, è consapevole dei limiti a cui va incontro anche la magistratura nel reprimere quella malsana alleanza tra consorzi criminali, politica deviata e pubblica amministrazione spesso compiacente, lancia un appello alla società civile. Un invito che non ti aspetti da un togato, ma che ha un logica ben precisa ed è pensato per contrastare gli immensi guadagni di quelle discariche che lavorano perseguendo finalità non esattamente legittime con metodologie tutt’altro che regolari. “Aumentare la differenziata, diminuendo la quota di rifiuti che va in discarica”.
La storia della Dia
Francesco Messina, attuale direttore centrale dell’Anticrimine, ha alle spalle una lunga militanza nella Dia (è entrato infatti l’1 giugno 1992). Oggi rivendica l’alta professionalità degli investigatori italiani anche sul contrasto dell’ecomafie. Sulla scorta dell’esperienza a Caserta, sottolinea: “La Terra dei fuochi nasce – appunto – dal fallimento della differenziata”.
Le conclusioni sono state affidate a Caludio Fava, presidente della Commissione antimafia dell’Ars, la quale ha pubblicato lo scorso aprile la relazione sul ciclo dei rifiuti Sicilia. Il dito è puntato su di una parola, “emergenza”. Ingrediente che paradossalmente ha consentito che alcune decisioni prese per tamponare momentaneamente dei buchi divenissero ingredienti strutturali di un fallimento. Ma è sull’impegno della Dia che le parole di Fava vanno prese ancora di più sul serio e affiancate ai risultati esposti in una altra relazione, quella dedicata ai depistaggi su via D’Amelio: “La Dia fu esclusa dalle indagini sulle stragi, forse perché – ha detto Fava – quelle competenze furono considerate sin da subito scomode”.