PALERMO – No agli arresti domiciliari provvisori, no al differimento della pena. Il magistrato di sorveglianza di Torino, competente sull’istanza avanzata dai legali di Gaetano Riina, respinge ogni richiesta del fratello del capo dei capi.
“Allo stato non ci sono le condizioni per un provvedimento di urgenza”, scrive il giudice. La richiesta difensiva è del 24 aprile. Sei giorni dopo, giorno 30, sul tavolo del magistrato c’era la relazione dell’azienda sanitaria di Torino, la quale certifica che il detenuto è in discrete condizioni generali. La salute di Gaetano Riina è compatibile con la detenzione.
Di avviso opposto sono i suoi difensori che avevano allegato all’istanza una serie di accertamenti che descrivevano un quadro clinico a rischio: problemi cardiaci, enfisema polmonare e soprattutto il fatto che a Riina in passato è stato asportato un rene.
Gaetano Riina, 87 anni, ha già finito di scontare oto anni per mafia. Ora sta scontando altri quatro anni perché a Napoli lo hanno guidicato colpevole per essersi sbarazzato,on le miacce e d’intesa con alcuni esponenti dei casalesi, della concorrenza di alcune ditte di trasporti su gomma. Un reato commesso con l’aggravante del metodo mafioso.
Gli avvocati Pietro Riggi e Giuseppe Valerio La Barbera nella loro richiesta avevano sottolineato come il penitenziario di Torino fosse uno dei maggiormente esposti al rischio coronavirus alla luce di diversi casi di contagio.
La partita non è definitivamente chiusa, anche se la bocciatura del magistrato sul ricorso urgente avrà un peso determinante nel giudizio che adesso si sposta davanti al Tribunale di sorveglianza in composizione collegiale.
Ed è in questa sede che si entrerà a fondo nel merito della questione. “Noi non chiediamo la scarcerazione del nostro assistito – spiegano gli avvocati Pietro Riggi e Valerio La Barbera – ma poniamo un tema molto più serio che non si può liquidare in fretta e furia. Lo Stato è in grado di garantire il diritto alla tutela della salute del detenuto? L’Istituto superiore di sanità inserisce le persone che hanno le stesse patologie di Gaetano Riina fra i soggetti più a rischio a causa dell’emergenza Coronavirus. Il nostro assistito, e questo è un dato di fatto, è detenuto in un penitenziario dove si sono registrati 60 casi di contagio su una popolazione carceraria di circa 1200 persone. Siamo davvero sicuri che tenere in carcere Riina, alla luce delle sue condizioni, significhi tutelarne la salute? È questo l’interrogativo che affidiamo ai giudici, certi che debba esserci una giustizia giusta, tanto che abbiamo chiesto anche il trasferimento di Riina in una struttura che gli garantisca le cure previste dalla legge. A meno che non dobbiamo considerare che in Italia il reato sia aggravato per il cognome che si porta”.