Ripresa? Non esiste "l'enigma" - Live Sicilia

Ripresa? Non esiste “l’enigma”

LA NOTA SUI MERCATI
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18 min di lettura

ECONOMIA: nessun enigma
Il decennale USA questa settimana è stato trattato al  4% per la prima volta dallo scorso ottobre; ed è bene notare che si trova a 20 cts. sopra il livello del bund tedesco, dopo essere stato sempre più basso (un mese fa era  inferiore di 20 cts.). I rendimenti ipotecari sono arrivati  al 5,12% dal 3,94% del 20 maggio. Il trentennale ha toccato il 5% che non si vedeva dall’ottobre 2007. Dunque, nonostante la Fed tenga il tasso ufficiale a zero, e a dispetto dei suoi acquisti di titoli ipotecari e statali, i rendimenti sono saliti. Gli ottimisti vedono in ciò la conferma della futura ripresa economica. La maggioranza parla invece di un “enigma” che richiama alla mente quello dell’era Greenspan. Ricordo brevemente: quando quest’ultimo iniziò a rialzare i tassi nel giugno 2004 dall’ 1% all’1,25% i rendimenti ipotecari erano al 5,5%. Alla fine del 2005,  quando la  Fed aveva aumentato i tassi al 4,5% quindi di oltre 3 punti, i rendimenti erano saliti di solo  30 cts al 5,8%. Ne era conseguito che la bolla immobiliare proseguiva con forza, e  Greenspan  aveva definito un “enigma” il basso rendimento dei bonds, che si rifiutavano di seguire al rialzo i “suoi” tassi.
Adesso quindi ci sarebbe un nuovo “enigma Bernanke” di tipo opposto, costituito dal rialzo dei rendimenti alla faccia dei tassi Fed a zero e dei suoi massicci acquisti di titoli (anche ipotecari) con soldi stampati per la bisogna.

Come ricorderanno i miei lettori di lunga data, ho sempre criticato l’enigma di Greenspan; ed oggi non vedo alcun mistero nel comportamento dei rendimenti americani, avendolo infatti previsto. Perchè ? all’epoca, e cioè tra il 2004 e il 2007, avevo chiaro che la bolla creditizia giocava un ruolo fondamentale nel distorcere la domanda per i titoli obbligazionari USA, specialmente titoli di stato ed ipotecari. In particolare , durante quel boom la massiccia speculazione a leva sui titoli ipotecari aveva creato un eccesso di domanda  tenendo artificialmente bassi i rendimenti in tutta l’arena obbligazionaria. Condizioni finanziarie estremamente lassiste creavano un circolo vizioso autorinforzantesi , per cui mutui sempre meno cari e disponibili in abbondanza inflazionavano i prezzi immobiliari e le quotazioni dei titoli di stato. Al contempo, la bolla produceva deflussi di dollari via massiccio deficit estero, aumentati dalla speculazione sulla svalutazione del dollaro, inondando le banche centrali estere, in primis la Cina, che a loro volta -riciclando i dollari per difendere i rapporti di cambio- creavano domanda artificale per i titoli americani. In sintesi, la reazione della Fed al dopo bolla tecnologica, aveva provocato una nuova micidiale bolla  e la Fed  si rifiutava di ammetterlo. Tale Bolla  aveva creato una dinamica di offerta e domanda per i titoli di stato ed ipotecari incredibilmente distorta, ma al contempo allentava il peso del deficit americano favorendo il riciclaggio dei dollari, per cui le autorità se ne  infischiavano altamente, anche se sotto i loro occhi il sistema privato si stava espandendo incontrollabilmente, fino all’inevitabile scoppio 2007-2008 che pare abbia “sorpreso” la catena di comando del nostro pianeta, impersonata da governi e banche centrali.

Oggi, con la bolla creditizia scoppiata, la sfida è analizzare attentamente le nuove dinamiche, nello sforzo di identificare l’emergere di una nuova relazione tra domanda-offerta- prezzi. L’attuale rialzo dei rendimenti USA indica proprio l’emergere di nuove dinamiche, globali ed importanti. Dall’agosto del 2008 il dollaro aveva beneficiato di una forte domanda dovuta alle ricoperture, frutto di una situazione malata prima e dopo. Invece questo rialzo del dollaro ha indotto nella massa la percezione che i titoli USA fossero un bene rifugio, per cui i rendimenti sono collassati (decennale fino al 2%), e ciò ha rinforzato anche l’idea erronea che il Tesoro  USA mantenesse una flessibilità fiscale virtualmente illimitata. La fede in un ritornato Re dollaro, combinata con l’apparenza di uno scenario deflazionistico depressivo, ha infine convinto la massa che il rischio inflazione fosse scomparso completamente dall’equazione. Ma dopo essere arrivato a 90 ai primi di Marzo, l’indice del dollaro è di nuovo caduto fin sotto 80. La triplice combinazione di deficit statali  a doppia cifra in % del PIL- stampa di nuova moneta da parte delle banche centrali- rinnovata debolezza del dollaro, unita a una sincronizzazione senza precedenti di politiche di stimolo in tutto il mondo, ha fatto emergere velocemente la nuova grande bolla globale dei debiti pubblici e l’associato rischio non solo  inflazionistico, bensì anche iperinflazionistico, stile Weimar o Zimbabwue.

Non c’ nessun enigma, pertanto, nel fatto che il mercato stia riesaminando le sue precedenti erronee convinzioni: meglio tardi che mai. Innanzitutto nel considerare il dollaro meno attraente, sia come bene rifugio sia come difensore del potere d’acquisto: se c’è una cosa evidente è che gli USA di Obama sono divenuti un enorme buco nero fiscale. Inoltre, l’inflazionamento globale è più favorevole per i paesi emergenti ed esportatori di materie prime: i flussi, di cui ho recentemente scritto, dal Centro alla Periferia incentivano la diversificazione fuori dal dollaro. E maggiore si rivela il guadagno sugli assets non-dollari, maggiore è l’afflusso speculativo in questo senso, che si va autorinforzando come da manuale. Nel frattempo  un dollaro più debole  altera nettamente le prospettive per l’inflazione americana ( importata via dollaro): non è un caso che il petrolio, in dollari,  si sia più che raddoppiato dai minimi di febbraio.

Tutto questo impatta in modo decisivo sullo spazio di manovra della Fed. Prima, in presenza di un dollaro forte, e con titoli di stato ben comprati, i creduloni  potevano anche  pensare che la banca centrale avesse una capacità senza limiti di stampare moneta. Dunque, si poteva pensare erroneamente  che la Fed potesse, tramite i suoi acquisti, tenere i rendimenti a lungo termine al livello da  lei desiderato,  come con i tassi a breve; e ciò implicava anche che il Tesoro, con  il suo fardello di costi di finanziamento su un debito esplodente,  potesse essere protetto da questa capacità manipolatoria della Fed, di cui avrebbero beneficiato i debitori tutti, incluso prima o poi anche il massacrato settore immobiliare.

Adesso, invece, i creduloni devono prendere atto che sta emergendo un mondo ben diverso. L’inflazionamento (pur se ancora non si vede nelle statistiche ufficiali) sta inizando a vivere di vita propria, novello Frankestein. Così come le dinamiche della bolla creditizia sopraffecero la capacità manipolatoria di  Greenspan nel 2004/05, adesso le dinamiche dell’inflazionamento stanno facendo girare a vuoto le pale dell’elicottero distributore di moneta stampata , guidato da  Bernanke. Non ci vorrà molto perchè l’inflazione riemerga come la minaccia maggiore, e i rendimenti sui titoli di stato ed ipotecari saranno determinati sempre più da mercati allarmati dalle conseguenze sui debiti pubblici, invece che dalle manipolazioni della Fed : ne consegue che la tanto agognata ripresa economica, ottenuta momentaneamente a così caro prezzo strutturale, alla fine tornerà a sparire.

Durante l’enigma del 2005, le dinamiche di mercato nutrirono la bolla americana, perchè tassi artificialmente bassi pomparono l’indebitamento , i prezzi e i consumi. Nel nuovo “enigma” invece le dinamiche di mercato ottengono l’effetto opposto perchè impongono rendimenti elevati, tali da spompare indebitamenti, prezzi e consumi. Nella analisi che faccio, e da cui deduco le previsioni, considero che l’attuale inflazionamento è diverso dai precedenti: contro l’opinione della maggioranza, penso infatti  che gli USA sottoperformeranno le altre economie. Già ora, si sta delinenando uno scenario in cui le politiche inflazionistiche danneggiano i consumatori americani tramite importazioni più care, costi di finanziamento più alti, ed un maggior peso fiscale. A differenza delle inflazioni più recenti, i titoli USA saranno il punto focale della dinamica: mi aspetto che i rendimenti saliranno sempre più, anche se non in linea retta, con andamento sinusoidale. Il consensus è invece ancora convinto che  le autorità saranno sempre capaci di imporsi ai mercati globali; molti pensano che la Fed risponderà ai rendimenti crescenti aumentando i suoi acquisti di titoli, fino ad averla vinta. Non ci credo perchè la monetizzazione diverrà sempre più problematica in un mondo con dollaro in caduta, e con i creditori esteri che protestano e chiedono garanzie per i loro crediti, come hanno già iniziato a fare cinesi e russi.

Lo scenario più probabile sarà quello contraddistinto da rendimenti al rialzo, la Fed che monetizza per contrastarli, il dollaro che perde valore a seguito della monetizzazione, l’inflazione che avanza, i debiti pubblici che si espandono a causa degli interessi crescenti, fino a quando  il mondo  metterà in dubbio la capacità americana di essere solvente e passerà allo sportello per chiedere indietro i suoi depositi: e lì sarà il disastro, perchè i soldi veri non ci saranno, al massimo un pò di santini di Obama.
Morale della favola: ci sono dei limiti anche per l’impero americano quando non fa altro che inflazionare il credito, svalutare la moneta, inondare il mondo con i suoi debiti. Non c’è nessun enigma,  ancora una volta, solo la sempiterna semplice legge naturale che non esistono pasti gratis, per nessuno.

MATERIE PRIME: vendite di oro
L’oro scende del 1,7% (+6,5% da inizio anno),e l’argento -3,7%(+31%). Gli industriali ancora al rialzo: il rame sale del 4%(+70%), il petrolio fa anche meglio  +5% (+60%)  il gas naturale  +0% (-31%). Agricoli misti. L’indice generale CRB avanza del 2% (+14%).
Il petrolio continua a massacrare l’oro, salendo mentre questo scende, nonostante  dollaro e borse ferme: il rapporto oro-petrolio è sceso a 13 ed il differenziale oro-platino è oltre i 300 punti. L’oro è stato danneggiato dalle voci su nuove vendite da parte delle banche centrali occidentali per finanziare il FMI; in realtà tali voci dovrebbero incoraggiare gli acquisti (e i cinesi comprano) se si considera che le banche centrali occidentali sono famose per vendere oro prima del rialzo del suo prezzo, come fecero in modo massiccio quando l’oro era a meno di 300 dollari. Tecnicamente, comunque, la recente debolezza ha intaccato per la prima volta da aprile la media a 20 giorni che finora ha sempre rappresentato, in caso di violazione, un segnale di vendita a breve termine, con obiettivo verso area 920 (che dovrebbe rivelarsi un supporto efficace, ma una sua rottura  proietterebbe verso 870-850).
Il gas naturale continua a restare fermo: il rapporto petrolio-gas sale a 18,6. L’Agenzia internazionale per l’energia ha favorito il petrolio aumentando le sue previsioni sulla stima della domanda per il 2009 a 83,3 milioni di barili al giorno, per maggiori consumi in Cina. La previsione è stata rafforzata dai dati sui prestiti cinesi raddoppiatisi a maggio, mentre la produzione e le vendite al dettaglio hanno battuto le attese, accelerando rispettivamente al 9% ed al 15%, ed anche gli investimenti mostrano che la crescita cinese è in aumento.
Si conclude con : petrolio a 72(luglio) gas naturale a 3,86(luglio) oro a 940(giugno) argento a 14,9(giugno) platino a 1259 (luglio) palladio a 253(giugno) rame a 237(giugno) soia a 1245(luglio) oro-petrolio a 13.

CAMBI: in stallo
L’indice del dollaro ha perso 0,6% concludendo a 80,2 (-1,5% da inizio anno).Perdite limitate ma contro tutte le valute principali fra cui si è distinta la sterlina, seguita a ruota da neozelanda e australia i cui tassi ufficiali sono stati mantenuti fermi. L’assenza di dati importanti e lo stallo dello sp500 hanno mantenuto poco mosso lo yen e lasciato nel saldo settimanale l’eurodollaro quasi immutato, anche se non è mancata la volatilità, con l’inizio settimana che rispondeva alle attese facendo scendere il cambio fino a 1,38 da cui però sono scattati gli acquisti che hanno riportato fino a 1,413 (il 61,8% della discesa da 1,434 a 1,38),  dopodichè si è assestato quasi a metà strada concludendo a 1,40. Dal lato dell’euro le influenze prossime venture dipenderanno soprattutto dai dati sull’inflazione. La recente retorica della BCE fa ritenere improbabile che continui a tagliare i tassi o aumenti la quantità di moneta che stamperà a luglio (60 miliardi di euro), per cui l’euro dovrebbe continuare a essere sostenuto come finora; però non mancano le richieste politiche alla BCE perchè effettui una stimolazione più aggressiva, ed i dati sui prezzi al consumo se presenteranno sorprese potranno spostare il pendolo delle attese (sulle future mosse della BCE) in un senso o nell’altro. Ma , naturalmente , EURUSD tenderà a risentire soprattutto dell’andamento della propensione al rischio e quindi delle borse, una cui inversione potrebbe trascinarlo al ribasso, mentre se l’azionario continua a gonfiarsi l’eurodollaro dovrebbe proseguire nella sua recente ascesa.

Nel frattempo sono usciti i dati realtivi a maggio sulle riserve internazionali e se ne evince che Brasile Russia India e Cina hanno registrato complessivamente un aumento di 60 miliardi di dollari , perchè hanno cercato di sostenere il dollaro per evitare di rivalutarsi nei suoi confronti, in reazione al crollo delle loro esportazioni dovuto alla peggior crisi dalla seconda guerra mondiale. Sono stati i brasiliani a  comprare più dollari negli ultimi 12 mesi, mentre gli indiani hanno avuto a maggio un incremento che non si vedeva da gennaio 2008, e la Russia lo ha fatto per la prima volta dallo scorso luglio. Ciò non toglie però che  questi paesi sono impegnati nel trovare un alternativa al dollaro, e ne parleranno nel loro prossimo meeting di martedì: pur rappresentando il 15% del pil mondiale, sono loro ad avere il 42% dei dollari esistenti.

OBBLIGAZIONI: nuovi record
Negli USA  i futures sul tasso a tre mesi scadenza dicembre 2009 quotano 1,11% (-25 cts. rispetto a 7 giorni fa), il libor a tre mesi è    al 0,62%(-1 cts.) e ad un anno al 1,60%(+0 cts.); i bills a 3 mesi   allo 0,18%(-1 cts.). I rendimenti dei bonds  a 2 anni  a 1,26%(-4 cts.); a 5 anni al 2,78%(-5 cts.); il decennale al 3,79% (-4 cts); a 30 anni al 4,64%(-0 cts.). Fermo il differenziale tra 2 e 10 anni   a 253 (-0 cts.), ed anche tra 5 e 10 (1%). I saldi settimanali non mostrano però che nella prima parte della settimana, coevamente alle aste delle nuove emissioni, le vendite si erano intensificate portando i rendimenti fino a 4% sul decennale; finite le aste, che hanno assorbito interamente l’offerta, vi è stato un deciso rientro del movimento, tanto da concludere sotto i livelli di sette giorni prima. Prosegue invece l’impennata dei tassi sui mutui a tasso fisso trentennali (+30 cts.  al 5,59%)   quindicennali(+27 cts. al 5,06) e a tasso variabile ad un anno (+23 cts. al 5,04%), il che riduce le probabilità di ripresa del settore immobiliare. Misti i differenziali sui bonds aziendali,   in rialzo i rendimenti degli obbligazionari dei paesi emergenti, tranne i bonds brasiliani fermi al 6%  sul decennale, e  sale  quello del decennale giapponese (1,51).
Sempre fermi in Europa i  tassi euribor:  ad un mese  al 0,97% (+3 cts.) a tre mesi al 1,28%(+0 cts.) ad un anno  al 1,68%(+2 cts.). I rendimenti sui bund tedeschi  sul 2 anni a 1,68%(+1 cts.) e  sul decennale a 3,63% (-9 cts.) per cui scende il  differenziale tra 2 e 10 anni a +195 cts. ;  il differenziale con i bonds USA  sul due anni si stabilizza a quota +42 , mentre  sul decennale l’inversione prosegue  a +16 cts. a favore del bond.

BORSE:  stretto range
Una settimana con escursioni molto contenute, in stretto range che si conclude sui livelli di sette giorni prima, anche se dal fronte macro si evidenzia che i deficit USA (sia estero che interno) continuano a peggiorare, che le scorte (commerciali e produttive) continuano a scendere, e che le richieste di sussidi disoccupazionali restano oltre quota 600 mila. Ma la borsa ha ignorato queste negatività come ha ignorato l’impennata dei rendimenti obbligazionari.Tecnicamente quindi nessuna novità.
Per lo sp500 il supporto più vicino è a  925 seguito da 876, mentre la resistenza è a 961 seguita da 990. Sono livelli che si allineano con la struttura delle onde, ed infatti per ora tengono molto bene: giovedì vi è stato un tentativo di forzare verso l’alto ma è immediatamente fallito, e venerdì analogamente al ribasso. Se si riuscirà a superare quota 961 si dovrebbe completare il  50% di rialzo arrivando in pratica alla famosa  quota mille. Se viceversa si bucherà quota 925  si avrà il segnale che si è in presenza di qualcosa di più di un semplice pullback, anche se la soglia chiave al di sotto della quale decretare finito il trend marzo-giugno è 876. Resta valida la considerazione che con un +45% già alle spalle e solo un potenziale ulteriore 5% di guadagno, il rapporto rischio opportunità potrebbe indurre molti a chiudere le posizioni. A favore di questa ipotesi militano anche le altre situazioni inter-market: i rendimenti vengono da una corsa impulsiva e potrebbero quindi stornare come hanno fatto nel finale di venerdì; il petrolio viene anche lui da una lunga corsa e presenta molte divergenze tecniche negative; il dollaro ha dato qualche segnale di forza dopo la recente caduta; l’azionario asiatico ha visto questa settimana Cina e India fermi al palo, così come in europa la Germania, e tra i mercati commodities il Brasile. Inoltre se si considerano le ultime 5 onde dello sp500 (876, 827, 930, 879 e l’attuale in corso) si osserva come la 3 (103 punti) è stata più ampia della 1 (96), e la 4 (un flat) si sia alternata con la 2 (un zigzag), come da manuale. La lunghezza totale di questo secondo ciclo rialzista è stata finora di  176 (956-780), in linea con i 166 (833-667) del primo ciclo. Infine si nota anche come l’ampiezza della quinta in corso è stata finora di 77 avvicinandosi a quella della 1 (96) e della 3 (106). L’allinearsi di tutte queste simmetrie, e l’evidenziarsi di significative divergenze dell’ RSI su varie scale temporali, sono altri elementi che fanno propendere per una prossima uscita al ribasso dall’attuale range. Ma serve la sopramenzionata conferma, perchè un mercato inflazionato può sempre sorprendere per durata e resistenza.

Si conclude con Dow a 8799 +0,4% ( +0,3% da inizio 2009) SP500 a 946 +0,7%(+4,8%) Nasdaq100 a 1490 -0,2%(+23%)Russell -0,7%(+5%) Trasporti +0,3%( -5%) utilities +4% (-5%) semiconduttori +1,5% ( +29,5%) Broker +0%( +33%) Banche +4%(-13%).
Il rapporto tra put e call sale a 0,86 e  l’indice della volatilità VIX flette  a 28.
Il Nikkey giapponese  a 10135 +3,8%(+14% da inizio 2009),  il Dax a 5069 -0,2%(+5,4%)  il cac francese a 3326, il footsie inglese a 4442, ftsemib italia a 20384. Tra gli emergenti: Brasile +0,2%(+42%) Russia +0% (+78%) India +0,9%(+58%) Cina -0,4%(+50%).

PREVISIONI: effetto G8?
La settimana inizia con le reazioni al G8 di Lecce, dove i ministri economici hanno reso noto di aver inziato a porsi il problema di come  uscire dal superpompaggio avviato, prendendo atto che la situazione appare migliorata. Hanno scritto  nel comunicato che se ancora è presto per considerare finita la crisi, non è prematuro porsi il probema della cosiddetta “exit strategy”. Può darsi che questa dichiarazione non abbia alcun effetto sui mercati, visto che si parla solo di intenzioni future, ma non si può escludere che la semplice idea del venir meno dell’eroina monetaria e fiscale possa offrire la scusa per interrompere la corsa delle borse, con tutti gli annessi e connessi sui vari mercati. La recente evidenza mostra che non sono i singoli dati macro o anche le manovre sui tassi che danno impulso sostenuto ai trends, bensì il formarsi di un opinione di maggioranza circa la prospettiva economica e finanziaria degli USA e delle sue controparti globali per gli effetti che ha sulla propensione al rischio. Se ci si convncerà che le autorità si muovono troppo presto verso l’exit strategy, o se un altra implosione bancaria dovesse ingrippare il mercato creditizio, allora la propensione al rischio potrebbe bruscamente ridursi. Ma c’è anche il caso opposto che presenta pericoli: se ci si convincerà che le autorità si muovono troppo lentamente verso l’exit strategy, e che l’inflazionamento svaluta il dollaro e i titoli di stato, non solo questo accentuerà lo spostamento dei capitali verso la Periferia, ma anche darà impulso ai piani per la sostituzione del dollaro come moneta mondiale, con tutto il caos che ne può derivare sui mercati.
In sostanza nelle prossime settimane, si potrebbe venire a determinare una situazione coerente sia come analisi tecnica (dati i presupposti esistenti in  ogni comparto) che come fondamentali( si perde fiducia nella ripresa): la borsa scende (sp500 almeno a 875, ma anche fino a 800), quindi i rendimenti scendono (decennale al 3,25 ma anche fino al 3%), il dollaro si rinforza (eurusd a 1,34 ma anche fino a 1,3)e le materie prime scendono (petrolio a 60 ma anche fino a 50; oro  sotto 900 ma anche fino a 850). Questa fase potrebbe però rivelarsi un semplice ritracciamento perchè ne conseguirebbe il rilancio dell’inflazionamento (si smetterebbe di parlare di exit strategy e riprenderebbero vigore i pompaggi); quindi  ripartirebbero i trends attuali (borse,materie prime,rendimenti al rialzo e dollaro al ribasso), in attesa della fase finale illustrata tante volte, in cui l’iniziativa verrà definitivamente presa dalla crisi di fiducia nei titoli di Stato (e che comporterà quindi non solo rendimenti a rialzo ma anche contemporaneamente borse al ribasso).
Queste sono ovviamente considerazioni previsive che vanno al di là della prossima settimana, ma ogni evento  o dichiarazione, in ogni momento, può innescare la speculazione in un senso  o nell’altro. Nella settimana che viene si attendono tra gli altri, un discorso accademico di Bernanke e la testimonianza di Geithner al Congesso. Il menù dei dati macro USA è incentrato soprattutto su alcuni indici manifatturieri (il Chicago, lunedì ed il Filadelfia, giovedì), sull’edilizia e sulla produzione industriale (entrambi martedì), nonchè sui prezzi (alla produzione, mercoledì e al consumo, giovedì). Lunedì usciranno anche i dati sui flussi di capitale che sono al centro dell’attenzione da quando è esploso il fabbisogno finanziario del Tesoro USA con gli annessi dubbi da parte dei creditori esteri. Sullo sfondo, mentre venerdì vi sarà la scadenza del future giugno e delle relative opzioni, si inizierà a profilare l’attesa per la decisione FED della settimana successiva . Finora, dei 300 miliardi di titoli di stato che la Fed ha annunciato di acquistare con moneta stampata   solo la metà dell’importo è stato fatto, e al prossimo meeting si attendono indicazioni per la tempistica della quota rimanente, e per eventuali nuovi importi. Con i rendimenti saliti alla faccia degli acquisti, la Fed si trova tra l’incudine e il martello: se aumenta gli acquisti per tentare di far scendere i rendimenti, mette in crisi il dollaro, e viceversa. Un anno fa esatto, il dilemma della Fed era se contrastare l’inflazione(petrolio a 140) oppure salvare il sistema finanziario; oggi è se contrastare la deflazione oppure salvare il dollaro. Il girone infermale dantesco di cui spesso ho scritto. Congratulazioni vivissime agli autori, meritano che i contribuenti spendano ogni anno centinaia di milioni di euro per i loro stipendi, summit -meeting- viaggi vari.

http://michelespallino.blogspot.com/


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