“Perché il fatto non sussiste” è la più ampia formula assolutoria (insieme con “perché l’imputato non ha commesso il fatto”) contemplata dal nostro codice di procedura penale. Si suole dire che manca il presupposto storico dell’accusa nelle sue fondamenta, mancano gli elementi oggettivi e soggettivi integranti una determinata fattispecie criminosa ritenuti, al contrario, sussistenti nell’impianto accusatorio.
Matteo Salvini, quindi, ha ottenuto il massimo che potesse sperare nel processo a suo carico celebrato a Palermo per la nota vicenda “Open Arms”. Il leader della Lega, ministro dell’Interno all’epoca dei fatti (2019), era accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Sostanzialmente rischiava una condanna a sei anni di carcere.
Non ripercorriamo le tappe ormai abbastanza conosciute. Le riassumiamo citando un passaggio della requisitoria dei pm Marzia Sabella, Geri Ferrara e Giorgia Righi e uno della difesa sostenuta dalla senatrice leghista avvocata Giulia Bongiorno.
Secondo i pubblici accusatori nell’agosto 2019 Salvini nella veste di titolare del Viminale aveva l’obbligo giuridico di comunicare alla nave dell’Ong “Open Arms” il porto sicuro per lo sbarco di 147 migranti soccorsi nel Canale di Sicilia. Nell’ostinazione di lasciarli a bordo “agì intenzionalmente e consapevolmente in spregio delle regole”.
Tesi contestata radicalmente dalla Bongiorno secondo cui la “Open Arms bighellonava in mezzo al mare mentre i migranti potevano scendere liberamente”, magari in altri porti disponibili. Dovremo attendere il deposito delle motivazioni (l’estensore avrà 90 giorni di tempo) per analizzare dettagliatamente il percorso logico e giuridico seguito dai giudici della seconda sezione penale del tribunale di Palermo presieduta da Roberto Murgia.
Per capire se e in che misura sono state accolte le ricostruzioni della difesa, fino al punto da negare la sussistenza del fatto, o se troveremo soltanto argomentazioni tecniche. Vedremo pure se vi sarà un prosieguo con l’eventuale impugnazione della sentenza a opera delle parti civili e della Procura della Repubblica di Palermo.
Però, non prendiamoci in giro, fortissima è stata, è e sarà la connotazione politica dell’intera questione. Lo stesso Salvini, attualmente piuttosto in difficoltà a causa di risultati elettorali e sondaggi non particolarmente entusiasmanti e delle sostanziose censure della Corte Costituzionale alla legge sull’Autonomia differenziata, sfrutterà pienamente l’assoluzione per rafforzarsi nella Lega, nel governo e per mantenere ferma in Europa una posizione nazionalista e di chiusura nel burrascoso campo delle politiche migratorie.
Così come da chiarire, speriamo sia possibile leggendo le motivazioni, è il confine tra discrezionalità politica e obblighi giuridici, in ossequio a leggi anche internazionali, quando sono in gioco vite umane letteralmente in balia delle onde durante le drammatiche traversate dei migranti, di cui migliaia annegati, per sfuggire a guerre, fame e violenze.
È importante capire cosa vuol dire in concreto “la difesa dei confini”, ripetutamente invocata da Salvini, quando la stragrande maggioranza dei migranti, se rimane viva, raggiunge le coste italiane autonomamente, su mezzi di fortuna, e quando ancora confuse, incerte e contraddittorie sono le soluzioni in materia adottate dall’Unione Europea.
Infine, c’è da stabilire se è davvero insostenibile l’idea di potere coniugare accoglienza e sicurezza, integrazione e salvaguardia della nostra cultura e delle nostre radici cristiane. Domande che rimbalzano nuovamente imperiose dopo l’attacco terroristico in Germania, al mercatino natalizio di Magdeburgo, di venerdì scorso su cui, va precisato, permangono parecchi punti oscuri circa la reale matrice.
Resta nell’animo, spente le luci dell’aula giudiziaria, l’amara sensazione, al di là degli immancabili aspetti giuridici e politici, che a perdere comunque sono sempre loro, i deboli, i senza voce, i dimenticati.