Sangue, soldi e segreti |I verbali di Giovanna Galatolo - Live Sicilia

Sangue, soldi e segreti |I verbali di Giovanna Galatolo

Alla collaborazione di Giovanna Galatolo con la giustizia e alla ricostruzione degli affari della sua famiglia, tre mesi fa, "S" ha dedicato una copertina. Ecco quell'articolo.

Dal mensile "S"
di
4 min di lettura

Alla collaborazione di Giovanna Galatolo con la giustizia e alla ricostruzione degli affari della sua famiglia, tre mesi fa, “S” ha dedicato una copertina. Ecco quell’articolo.

PALERMO – Questa è una storia di sangue e soldi. Il sangue è quello dei tanti morti ammazzati di Palermo. Lo stesso che sporcava i vestiti dei killer che rientravano, al termine delle missioni di morte, nel guscio di fondo Pipitone, all’Acquasanta, base operativa del clan Galatolo. Quei vestiti Giovanna Galatolo aveva il compito di lavarli. Senza fare troppe domande. Perché risposte non c’erano. I suoi occhi, però, hanno visto chissà quante cose. Adesso Giovanna, alla soglia dei cinquant’anni, ha scelto di cambiare vita. Ha deciso di collaborare con i magistrati. E il suo racconto è partito dal sangue per spostarsi sugli affari di un clan ricco e potente.
Sangue e soldi. I Galatolo erano abili a premere il grilletto e altrettanto a investire fiumi di denaro sporco servendosi di una fitta rete di insospettabili. Quando la donna ha pronunciato alcuni cognomi i pubblici ministeri sono saltati dalla sedia. Sono imprenditori edili al di sopra di ogni sospetto che, però, a detta della dichiarante, erano e sono in società con gli eredi dei Galatolo a cui hanno versato, con regolarità, gli introiti.
È passato poco più di un mese da quando Giovanna Galatolo, figlia dell’ergastolano Vincenzo, ha bussato alla porta della Squadra mobile di Palermo. Voleva lasciarsi alle palle il suo ingombrante passato soprattutto per la figlia minorenne alle prese con una difficile e sofferta scelta di vita. Meglio cambiare aria e ricominciare dalla località segreta in cui si sono trasferiti. Altri parenti si sono dissociati dalla sua scelta. A cominciare dal marito da cui si è separata da tempo. Sono rimaste lei e la figlia a percorrere un cammino coraggioso e difficile.
Tocca ai pubblici ministeri Vittorio Teresi, Francesco Del Bene, Amelia Luise, Pierangelo Padova, Annamaria Picozzi e Dario Scaletta raccogliere le sue dichiarazioni, alcune delle quali sono state trasmesse a Caltanissetta dove la Procura indaga sul fallito attentato dell’Addaura al giudice Falcone. Perché Giovanna Galatolo parla anche di una delle tante pagine oscure della storia repubblicana. Già nel 1989 la mafia era pronta a far saltare in aria il magistrato poi ucciso il 23 maggio 1992.
Il pentito Angelo Fontana ha raccontato che un commando, partito da fondo Pipitone, piazzò la borsa con l’esplosivo sugli scogli antistanti la casa estiva del magistrato. Falcone, però, decise di trattenersi quel giorno di giugno al Palazzo di giustizia con due colleghi svizzeri, Carla del Ponte e Claudio Lehmann. E così l’attentato fu rinviato. Fontana ha raccontato che il compito di piazzare l’esplosivo era stato affidato a Vincenzo Galatolo, il padre di Giovanna, che oggi sta scontando l’ergastolo nel carcere di Milano Opera. Resta aperto un grande interrogativo: chi avvisò Cosa nostra che quel giorno di giugno Falcone si sarebbe trovato all’Addaura? Chissà se su questo fronte Giovanna Galatolo potrà offrire il suo contributo raccontando cose che probabilmente non ha visto o sentito direttamente ma le sono state raccontate.
Diversa la faccenda dei soldi. Perché degli affari la donna sembrerebbe avere conoscenza diretta. E racconta di investimenti attivati grazie alla compiacenza di insospettabili prestanome. Di soldi utilizzati per aprire attività commerciali, ristoranti, centri benessere. Non solo all’Acquasanta, ma in giro per Palermo e pure all’estero. Un capitolo delle dichiarazioni – siamo ancora nella fase di raccolta – porta gli investigatori oltreoceano. Tanto che saranno presto attivate delle rogatorie internazionali per scovare il tesoro dei Galatolo, fatto anche di residenze lussuose chissà dove in giro per il mondo.
Perché i Galatolo non si sono fossilizzati in Sicilia. Hanno saputo aspettare il loro momento. Quando ammazzarono il capostipite, don Gaetano – era la fine degli anni Cinquanta – la loro strada sembrava segnata in negativo nello scacchiere di Cosa nostra. Ed invece il patto di ferro con i corleonesi di Totò Riina avrebbe cambiato il corso delle cose. Da fondo Pipitone, fra i Cantieri navali e il mercato ortofrutticolo, negli Ottanta si muoveva il gruppo di fuoco del capo dei capi. Da fondo Pipitone partirono i killer del giudice istruttore Rocco Chinnici, del segretario del Pci Pio La Torre, del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, del commissario Ninni Cassarà. I killer tornavano con gli abiti sporchi di sangue. Giovanna Galatolo aveva il compito di lavarli. Senza fare troppe domande. Ottenuta la massima credibilità tra le file di Cosa nostra i Galatolo hanno iniziato a pensare agli affari. Il padre di Giovanna, Vincenzo, con gli zii Raffaele e Giuseppe misero le mani innanzitutto sui Cantieri navali. Una mareggiata nel lontano 1973 portò a Palermo miliardi di lire per riparare la diga foranea e nacquero una sfilza di società, tutte o quasi riconducibili ai Galatolo. Le cronache recenti ci dicono che gli interessi del clan sarebbero proseguiti nel settore della cantieristica navale. Fino alle dichiarazioni di Giovanna, formalmente non inserita nel clan. Come tutte le donne di casa Galatolo è rimasta apparentemente fuori dai giochi. Una linea ben precisa dettata dagli uomini. Uomini che, a parte qualche parentesi, sono stati in carcere ininterrottamente nell’ultimo decennio. E allora ci si chiede se tutto ciò che Giovanna sta raccontando lo sappia davvero per sentito dire oppure se, ad un certo punto, sia stata investita di un ruolo specifico.

Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI