TERMINI IMERESE (PALERMO) – Le condanne sono pesanti. Soprattutto se diminuite di un terzo come previsto dal rito abbreviato. Sei anni di carcere sono stati inflitti dal giudice per l’udienza preliminare Dario Gallo ad Antonino Napoli, ex sindaco di Santa Flavia, piccolo Comune in provincia di Palermo. Tre anni e 10 mesi ha avuto l’ex capo ufficio tecnico Giovanni Mineo. Rinviata a giudizio la segretaria comunale Paolina La Barbera che ha scelto di essere processato con il rito ordinario. Assoluzione, invece, per Francesco Cicero (difeso dagli avvocati Nino Caleca e Roberto Mangano), collaboratore di Mineo che aveva una posizione marginale nel processo. Il dibattimento ruotava attorno ad una sfilza di ipotesi di reato che vanno dalla concussione alla corruzione, dalla violenza privata all’abuso d’ufficio e al falso ideologico.
Gli imputati sono stati pure condannati a pagare una provvisionale immediatamente esecutiva per complessivi duecento mila euro in favore delle parti civili che si sono costituite con l’assistenza degli avvocati Salvatore Sansone, Antonio Galatolo e Nora Campo. Si tratta del Comune di Santa Flavia, dei funzionari Patrizia Li Vigni e Pasquale Cirrincione, dell’ex assessore Gaspare Affatigato e del consigliere comunale Francesco Restivo. La cifra del definito risarcimento danni sarà stabilita in sede civile. “Sebbene rinvii alla competenza del giudice civile, la sentenza penale riconosce in via provvisionale e sommaria risarcimenti economici alle parti civili costituite – spiega l’avvocato Sansone -, rivelando una piena affermazione di responsabilità degli imputati per condotte di abuso amministrativo di grave danno per alcuni dipendenti dell’amministrazione comunale”.
Il processo nasceva proprio dalla denuncia dei dirigenti comunali. Una volta eletto primo cittadino nel 2008, Napoli avrebbe dato disposizioni al responsabile dell’area tecnica Patrizia Li Vigni di predisporre un bando per la copertura del posto vacante di capoufficio tecnico. Il bando restringeva la cerchia dei partecipanti agli ingegneri edili e agli architetti. Una limitazione che sarebbe stata impugnata da Cicero che ottenne la revoca e la riproposizione del bando con l’allargamento ad altre figure professionali. Alla fine, però, Cicero non avrebbe più partecipato al concorso. Da qui l’accusa, però caduta, di avere fatto il ricorso solo per favorire l’amico Mineo.
Solo che la Li Vigni puntò il dito contro gli amministratori che, a suo dire l’avrebbero mobbizzata e demansionata per punirne la scelta di restringere le maglie del primo bando. Tutti gli imputati si sono sempre difesi sostenendo la correttezza del proprio operato e la legittimità del bando che consentì di corpire un vuoto di organico. E oggi si dicono pronti, tramite i legali, a fare valere le proprie ragioni di trasparenza in appello certi che la sentenza sarà ribaltata.
Eppure le cose, secondo il pubblico ministero Francesco Gualtieri, sarebbero andate diversamente: Napoli avrebbe falsamente attestato che ci fosse la copertura finanziaria per l’assunzione fuori dalla pianta organica. Poi avrebbe costretto, da qui l’ipotesi di violenza privata, l’ex capo dell’Ufficio tecnico Pasquale Cirrincione a dimettersi e l’assessore Gaspare Affatigato ad esprimere, malgrado quest’ultimo avesse manifestato serie perplessità e riserve, voto favorevole per l’assunzione di Mineo.