È uno scontro durissimo quello che si consuma nell’Arena televisiva di Massimo Giletti tra il magistrato Nino Di Matteo e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Per anni i grillini hanno visto in Di Matteo il simbolo della buona magistratura e l’ex pm della Trattativa ha ricambiato apprezzando pubblicamente le iniziative del Movimento: dal codice etico al blocco della prescrizione.
Da ieri, però, le cose sono cambiate. Di Matteo ha raccontato che nel 2018 Bonafede gli aveva offerto di dirigere il Dap o gli Affari penali. Solo che quando il magistrato sciolse la riserva, accettando il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, il Guardasigilli ci aveva ripensato. Niente più Dap, l’offerta era valida solo per il secondo incarico. “Ci aveva ripensato o forse qualcuno lo aveva indotto a ripensarci”, ha detto Di Matte, citando alcune intercettazioni che circolavano in quel periodo. I boss detenuti erano preoccupati per la nomina di Di Matteo.
Bonafede è intervenuto in diretta durante la trasmissione, dicendosi “esterrefatto” perché la circostanza che lui avrebbe cambiato decisione dopo aver saputo dell’intercettazione “non sta né in cielo né in terra”. E poi mica quello agli affari penali era un incarico meno importante. Anzi, era più prestigioso e per rafforzare la sua tesi ha ricordato che è “lo stesso incarico che ricoprì Giovanni Falcone”.
Sono giorni che Di Matteo bolla come un segno di cedimento le scarcerazioni di alcuni boss detenuti per ragioni di salute. Gli fanno tornare in mente la stagione della Trattativa fra la mafia e lo Stato quando, così sostiene l’accusa nei processi, lo Stato cedette revocando il 41 bis ai mafiosi per fermare la stagione delle bombe.
Al Dap non fu nominato Di Matteo e arrivò Francesco Basentini “costretto” nei giorni alle dimissioni per le polemiche sulle scarcerazioni e sulle rivolte in carcere. Al suo posto è arrivato Dino Petralia. Il suo vice è Roberto Tartaglia, che assieme a Di Matteo ha rappresentato l’accusa al processo palermitano di primo grado sulla Trattativa. Chissà se questo basterà a placare le polemiche. Di certo la frattura fra Di Matteo e Bonafede, fra il simbolo dell’antimafia e il Movimento, è ormai insanabile.
Oggi Bonafede chiarisce la sua posizione in un lungo post su Facebook: “Ieri sera, nella trasmissione televisiva ‘Non è l’Arena’, si è tentato di far intendere che la mancata nomina, due anni fa, del dottor Nino Di Matteo, quale Capo del Dap fosse dipesa da alcune esternazioni in carcere di mafiosi detenuti che temevano la sua nomina. L’idea trapelata nel vergognoso dibattito di oggi, secondo cui mi sarei lasciato condizionare dalle parole pronunciate in carcere da qualche boss mafioso è un’ipotesi tanto infamante quanto infondata e assurda.Ho sempre agito a viso aperto nella lotta alle mafie che, infatti, nel mio ruolo ho portato avanti con riforme come quella che ho sostenuto in Parlamento sul voto di scambio politico-mafioso; con la Legge Spazzacorrotti; con la mia firma su circa 686 provvedimenti di cui al 41 bis e con l’ultimo dl che, dopo le scarcerazioni di alcuni boss, impone ai Tribunali di Sorveglianza di consultare la Direzione nazionale e le Direzioni distrettuali antimafia su ogni richiesta di scarcerazione per motivi di salute di esponenti della criminalità organizzata”.