PALERMO – Al suo indirizzo, in piazza del Carmine, nel cuore della vecchia Palermo, gli investigatori sono andati a bussare una, due, tre, quattro, cinque volte in un paio di mesi. Niente, Emanuele Gallidoro, agli arresti domiciliari per rapina, non ha risposto. Quando si trova sotto l’effetto degli stupefacenti, così si è giustificato l’imputato, non sente il suono del citofono. Una versione che non ha convinto né il pubblico ministero, né il giudice per l’udienza preliminare Lorenzo Matassa che lo ha condannato a quattro anni di carcere per violazione delle norme sulla sorveglianza. Una pena più pesante rispetto ai tre anni e quattro mesi chiesti dal pm Antonino Di Matteo.
Sulla decisione ha pesato la sfilza di precedenti penali del quarantaquattrenne Galidoro. Ci vogliono un paio di pagine per elencare tutti i reati che ha commesso. Si può definire un rapinatore seriale. L’ultimo arresto avvenne un paio di anni fa. Aveva preso di mira il supermercato Fortè di corso Tukory. Era diventato il suo bancomat personale: cinque rapine in un mese.
Entrava nel locale, pistola calibro 38 in pugno e si faceva consegnare il denaro. Solo che la sua immagine rimase impressa nei filmati delle telecamere di sicurezza. E così Gallidoro, allora sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno in città, finì in cella. Poi, gli arresti in casa da cui si sarebbe allontanato senza autorizzazione. La sua difesa non ha fatto breccia nei giudici ed è arrivata la condanna.