PALERMO – “Quella domenica dell’Epifania cambiò la vita di tanti. E tra questi, c’erano tre persone. Sergio, che poi convincemmo a impegnarsi in politica. Io, che mi candidai a consigliere comunale. E un giovane e sconosciuto pubblico ministero, Piero Grasso, di turno quel giorno. Oggi io sono sindaco di Palermo, Piero Grasso è la seconda carica dello Stato e Sergio Mattarella può diventare adesso Presidente della Repubblica”. Leoluca Orlando racconta così quel giorno del 1980 in cui Piersanti Mattarella, il presidente che voleva una Regione con le carte in regola, cadde assassinato. Fu l’inizio di un lungo percorso politico che vide l’attuale sindaco e Sergio Mattarella, che oggi potrebbe essere eletto Capo dello Stato, camminare fianco a fianco in quel processo che portò alla Primavera di Palermo.
Orlando non ha dubbi: “Sergio” è l’uomo giusto al momento giusto. Per almeno tre buoni motivi, esordisce il primo cittadino.
Quali, sindaco?
“Mattarella è la risposta ai tre mali della politica di oggi: l’eccesso di leaderismo, la mortificazione del Parlamento e l’attacco ai corpi intermedi. Il primo è il frutto della tentazione di un rapporto diretto tra elettori e l’Eletto e non tra elettori ed eletti. Il secondo è il risultato della legge elettorale che ha portato a un Parlamento di nominati, e dell’abuso da parte del governo dei decreti legge. Il terzo è fondamentale. Per capirci, la Camusso è antipatica ma i sindacati servono, Bersani è antipatico ma i partiti servono, Orlando fa schifo ma i Comuni servono. La cultura cattolica democratica di Sergio, che come il vero cattolico democratico è capace di coniugare fede privata e laicità pubblica, per storia, formazione ed esperienza lo pone dall’altra parte rispetto a questi tre eccessi”.
Insomma, sta dicendo che Mattarella può essere il “salvatore” della politica?
“Sì, della politica dei corpi intermedi, quelli che all’epoca chiamavamo i corpi vitali. Negli ultimi vent’anni e accaduta una cosa, si sono mortificati i corpi intermedi nel mondo cattolico e ha assunto un peso eccessivo il Vaticano. L’altra caratteristica di Sergio è proprio quella di essere portatore come Piersanti del primato assoluto della politica. Che per avere questo primato deve avere le carte in regola. Questo è l’impianto culturale di Sergio. Se Renzi ha fatto questa scelta ha ritenuto che come Capo dello Stato ci volesse qualcuno che frenasse alcuni eccessi, anche i suoi. Ed è un segnale di grande responsabilità”.
Lei tira subito in ballo la grande tradizione politica del cattolicesimo democratico. Che negli ultimi anni però è stata un po’ trattata come un ferro vecchio…
“Si è pensato in un certo periodo che fosse a specie di accolita di cattocomunisti. Oggi con questo Papa nessuno si permette di dire che siamo cattocomunisti, altrimenti bisognerebbe dire che anche il Papa è comunista”.
Chi è l’uomo Sergio Mattarella?
“Ha una sua specificità. Nella sua dimensione personale, direi caratteriale, che è quella di una sobrietà non solo di vita ma anche nei tratti, nel modo di esporre. Io non sempre sono sobrio nel modo di esporre, lui sì. E questo lo fa apparire debole. Perché in questo mondo si confonde l’educazione con la debolezza. Io le posso assicurare che Sergio è assolutamente forte e coerente con le posizioni che assume”.
Questo gli è stato riconosciuto da tanti. Si è ricordato il gesto delle dimissioni perché in disaccordo la legge Mammì, ad esempio…
“Ma non solo quello. Quando era un professore universitario ha accettato nel 1984 di fare il commissario della Dc, io ero il suo vice, dopo l’arresto di Ciancimino. Con lui abbiamo espulso dalle liste nel 1985 tutti coloro che erano espressione del comitato d’affari, nessuno dei quali aveva pendenze giudiziarie. Questo è il primato della politica. Uno di questi esclusi mi rispose ‘quanti figli hai?’, e capii che avevamo fatto bene”.
Ai tempi però sul “sospetto anticamera della verità” si discusse tanto. E qualche vita fu rovinata…
“Il concetto era la separazione tra la valutazione penale e quella politica. La politica se ha il primato opera senza aspettare le decisioni dei magistrati. Io posso parlare bene di un condannato. Un uomo che ho ammirato tantissimo lo è stato: Nelson Mandela. Ghandi è stato ospite delle prigioni dell’Impero britannico. La persona più importante della mia vita è stata processata e condannata a morte duemila anni fa. Se posso parlare bene di un condannato posso parlare male di un assolto?”.
Come iniziò il vostro percorso comune?
“Sergio mi convinse, anzi moralmente mi costrinse, a candidarmi al consiglio comunale per dare il segnale che non tutto era finito. Era il 1980”.
Che anni erano quelli e come li visse Sergio Mattarella?
“Le racconto un episodio del 1985. Ricevetti la visita di due persone, non li avevo mai incontrati ma sapevo chi fossero, personaggi ambigui ai quali mai avrei chiesto di votare per me. Mi dissero che avevano deciso di puntare su di me, perché i tempi erano cambiati. ‘Le giuriamo che non le chiederemo mai nulla se lei sarà eletto’, ripetevano. Io a quel punto dissi: ‘Chi sono io per ringraziarvi? E’ giusto che vi ringrazi il partito al massimo livello, andiamo da Sergio Mattarella, qui, alla porta accanto. ‘Abbiamo un impegno’, dissero a quel punto. E se ne sono andati. Avevano tentato di mettere me in contrasto con Sergio essendo entrambi candidati nel 1985 al consiglio comunale. la mia mossa li spiazzò. Furono anni di scelte difficili e storiche. Nell’agosto ’87 Sergio sostenne con me e De Mita la giunta anomala con i comunisti. E il Muro d Berlino sarebbe caduto solo due anni dopo”.
Poi però le vostre strade si separarono…
“Sì, ci siamo divisi nel ’90”.
Mattarella rimase nella Dc, lei andò via. Come vi lasciaste?
“Scelte diverse. Lui restò, ma nel ’92 scrisse il Mattarellum, che ha definitivamente chiuso la prima repubblica sancendo la fine della Democrazia cristiana”.
Senta, a proposito di elezioni, Sergio Mattarella non è mai stato una grande macchina da consensi. Nel ’92 da vicesegretario nazionale della Democrazia cristiana, ad esempio, prese meno voti di altri big della sinistra Dc. Come mai?
“Lui ha molto più consenso che consensi. Sono più le persone che ne parlano bene di quelle che lo votano. Forse perché lui non ama toccare e farsi toccare. Ha un tratto di uomo politico diverso. La sua carriera è anche il frutto della cattiva coscienza degli altri”.
Mattarella è certamente ascrivibile, per ovvi motivi, alla politica antimafia, ma ha un tratto abbastanza personale in questo senso, se mi consente l’espressione quello di un’antimafia “di sostanza”. Che ne pensa?
“Si, diciamo un’antimafia dei valori. C’è da dire che non ha mai avuto incarichi di natura amministrativa in Sicilia. La sua carriera è stata nazionale. Ricordo quando andai a Palazzo Chigi a chiedere a De Mita di farlo ministro, perché al governo eravamo rappresentati da Mannino e Gullotti. Ciriaco resisteva, poi a un certo punto mi chiese: ‘ma ministro a che cosa?’ ‘Non importa, fallo ministro alle biciclette’. Era superesperto di leggi elettorali e ricordo che tutti pendevamo sempre dalle sue labbra quando ne parlava”.
Seguiste anche tanti giovani in quegli anni, no?
“Nel gruppo di Piersanti c’ero io, Salvatore Butera…”.
No, le parlo dei giovani che vennnero dopo. C’era anche Alessandra Siragusa se non sbaglio.
“Sì, certo, il gruppo ‘Politica giovani’. Lo seguivamo insieme. C’era Alessandra, Manlio Mele. C’era anche Gaetano Armao”.
Anche Angelino Alfano non era nel giovanile Dc vicino a Mattarella?
“Si, e sostiene che veniva sempre in Cattolica agli incontri della Rete”.
Se l’aspettava un epilogo del genere per la carriera politica di Sergio Mattarella?
“Per i motivi che le ho detto diventa difficile capire come mai Renzi abbia scelto Sergio. Io avevo previsto…”.
Non mi farà come Messori che dice che aveva previsto Bergoglio papa…
“Vabbé, non lo diciamo che lo avevo previsto. Ma diciamo che la scelta di Sergio conferma che la politica è una scienza esatta. In questo momento storico il suo è il profilo giusto”.
Eppure non le sembra strano che questo patrimonio sia stato un po’ ignorato negli ultimi dieci anni dalla politica siciliana?
“Ma è così. Guardi, pensi a questo: gennaio 1980, e adesso ancora gennaio 2015. La mafia allora governava Palermo, oggi non più. Ricordo quel 6 gennaio in cui cambiò tutto, la mia corsa a Villa Sofia dopo aver appreso la notizia su Tgs. La notte con Rino La Placa Mommo Giuliana, eravamo come pulcini. Quel giorno cambiò la vita a me, che mi impegnai al Comune, a Sergio, che abbiamo convito a impegnarsi in politica. E a Piero Grasso, giovane e sconosciuto pubblico mistero di turno la domenica dell’Epifania. Adesso quei due palermitani arrivano ai vertici dello Stato”.
Per Palermo questo cosa significa?
“Significa avere la possibilità di ricordare al Paese che qui c’è stato un cammino di indignazione etica, un impegno politico che costituisce un patrimonio ormai nazionale. Un patrimonio di dignità. Sergio incarna alla perfezione il secondo comma dell’articolo 54 della Costituzione, che dice che i pubblici funzionari svolgono le loro funzioni con disciplina e con onore. Come Piersanti, che quando lasciava Palazzo d’Orleans spegneva la luce degli uffici. Ricordo un giorno in cui Piersanti mi portò una pila di carte, io ero il suo consigliere giuridico. Mi chiese di dirgli cosa ne pensavo. Io risposi: ‘A che conclusione vogliamo arrivare?’. Lui si arrabbiò e lanciò le carte in aria. ‘Tu sei il tecnico’, mi disse, ‘e devi dirmi come stanno le cose. Io sono il politico e deciderò cosa fare’. Era questo il primato della politica”.