MOTTA SANT’ANASTASIA – È una ferita che non ancora smesso di sanguinare. Le giovani vittime dei presunti abusi, consumati all’interno della setta con a capo il mottese Pietro Capuana, fanno fatica a tornare ad una vita normale. Il processo nei confronti degli indagati accusati di violenze va avanti, ma in attesa che la giustizia faccia il suo corso, il loro cammino è tutt’altro che semplice. Ma c’è una parte della cittadinanza di Motta Sant’Anastasia che non dimentica quello scandalo che ha colpito l’intera comunità, nel profondo.
Per questa ragione, un gruppo di associazioni e cittadini ha deciso di organizzare un presidio a Motta in via Olimpia all’incrocio con via Archimede proprio di fronte l’abitazione di Capuana. Scopo della manifestazione quello di esprimere piena vicinanza e solidarietà alle presunte vittime, ragazze tra i 13 e i 16 anni.
La notizia della scarcerazione a fine luglio scorso di Pietro Capuana, indicato come il santone della comunità “Cultura e Ambiente” di Aci Bonaccorsi, ha infatti lasciato sgomente molte madri e famiglie delle presunte vittime. Da allora per loro e anche per molti cittadini sarebbe stato un susseguirsi di pugni allo stomaco. “Fa un certo effetto vedere Capuana libero, o incrociarlo fuori da un panificio a Motta”, ha raccontato una delle intervenute. E poi di recente è arrivata anche un’altra notizia, quella secondo cui la congregazione di Capuana avrebbe ripreso di recente gli incontri ad Acireale. Sarebbe anche stata officiata una messa, il “santone” però non sarebbe stato presente.
“Vogliamo far capire – ha detto Simone Giacalone, capo Scout di Motta e organizzatore della manifestazione assieme a Danilo Festa, Santo Gulisano Consoli e Carmelo Schillaci – alle giovani ragazze che hanno confessato i presunti orrori consumati nella setta che non sono da sole. Non entriamo nel merito del processo. Auspichiamo venga stabilita la verità. Ma ci stava a cuore dimostrare la nostra vicinanza a queste ragazze. Il loro coraggio non è stato vano. Lo affermiamo anche contro quella mentalità maschilista che spesso peggiora lo stato d’animo delle vittime. Molte sono state additate come delle bugiarde che si sarebbero inventate tutto in cambio di denaro” .
La comunità collegata a Capuana conta, infatti, molti adepti. E sarebbero numerosi i membri dell’associazione che difenderebbero la setta e “l’arcangelo” dalle accuse di violenze e abusi. “Il secondo motivo – prosegue Carmelo Schillaci – è perché stiamo vivendo in questi giorni una situazione paradossale. Non si capisce più chi sia la vittima e il carnefice. Le ragazze che hanno denunciato sono state isolate anche dai familiari che credono ancora nella setta. Non riteniamo sia possibile che nessuno sapesse all’interno dell’associazione. Da quando è scoppiato il caso le istituzioni si sono rinchiuse nel silenzio. E la chiesa non ha finora voluto rilasciare alcun commento, preferendo attendere che la magistratura si pronunci. Ecco, noi invece vogliamo dire loro, alle ragazze, che siamo dalla loro parte. Noi le crediamo. Questo è il motivo che ci ha spinto ad essere qui. Siamo certi che arriveranno le risposte anche dalla magistratura. Ma nessun può credere che queste giovani si siano inventate tutto. Il paradosso è che le persone accusate siano libere, mentre tre le ragazze sono rinchiuse a casa e non hanno il coraggio di uscire. Le famiglie vivono nel dolore. Solo con l’amore possono essere supportate affinché superino questo lutto, noi siamo qui per questo”.
Sono uomini, dunque, scesi in campo in favore delle presunte vittime e che hanno deciso di organizzare il sit in al quale hanno, inoltre, preso parte anche membri dei sindacati Cgil e Udi (Unione donne italiane) come Sara Fagone e Dario Gulisano. Nel pubblico anche un paio di mamme delle giovani presunte vittime. Nel corso del sit in si sono susseguiti vari interventi, fra cui quello di Anna Bonforte Papale di Attiva Misterbianco che ha letto due lettere, la prima scritta da una delle mamme delle ragazze.
“Siamo stati accusati e additati – ha scritto una delle mamme – di esserci inventati tutto per soldi, noi che non abbiamo nulla a che fare con queste assurde definizioni. Neppure tutto l’oro del mondo potrebbe mai restituire l’innocenza rubata a queste ragazze che si porteranno dietro per sempre quella piaga, chi con rabbia, chi con dolore e chi con la voglia di andare avanti. Vogliamo ringraziare i cittadini di Motta Sant’Anastasia per esserci stati accanto in questa giornata. Non bisogna dimenticare ma ricordare e fermare chi difende ancora l’indifendibile e accusa queste giovani ragazze di aver urlato tutto l’orrore vissuto in quegli anni”. E Bonforte ha poi letto un’altra lettera scritta da una delle giovani ragazze finite nella cerchia di Capuana. “Non devo giustificarmi. Sono stata zitta per tre lunghi infiniti anni, ma nel mio profondo sapevo che fosse sbagliato e appunto per questo mi ero allontanata da quella setta. Ringrazio la mia famiglia e gli psicologi, perché è grazie a loro se ora riesco a dormire la notte”.
Il sit in tuttavia non ha avuto il riscontro sperato in termini di partecipazione. Molti fra gli organizzatori e anche fra gli intervenuti si sarebbero aspettati un numero maggiore di partecipanti, trattandosi di una vicenda inquietante che ha riguardato delle giovani adolescenti e toccato l’intera città. Il sit in si è inoltre collegato al movimento “Me Too”, grazie al quale molte donne in America e in Italia hanno denunciato le violenze subite da parte del regista Weinstein, finito in prigione. “La vergogna è far sentire in colpa delle donne per aver subito abusi. Molte non parlano proprio perché provano vergogna per quello che hanno vissuto”, ha detto una fra le intervenute.